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Da diversi giorni sta facendo discutere la notizia sull’intermediazione per la vendita di armi alla Colombia. C’è chi ha accusato Massimo D’Alema di aver fatto da mediatore per la vendita e di aver guadagnato milioni con Fincantieri e Leonardo. Tesi che lui stesso tiene a rigettare immediatamente: “Tutte fandonie“. Ora il caso Colombia è arrivato in Procura: dopo l’esposto presentato a Napoli su un broker pugliese, sono partiti gli accertamenti per tentare di fare chiarezza sulla questione. Comunque l’ex presidente del Consiglio da sempre ha difeso la propria posizione.
Il caso
È doveroso specificare che D’Alema non ha ricoperto alcun ruolo ufficiale e, in generale, al momento nella vicenda non si intravedono profili di rilevanza penale. E tiene a precisare che in tutto ciò non ha contratti con nessuno. Il presunto volume di affari dell’operazione sarebbe stato di 80 milioni di euro. Il Corriere della Sera parla di una denuncia dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo (Apm) contro alcuni soggetti da identificare che avrebbero cercato di accreditarsi come intermediari per la vendita delle armi utilizzando documenti falsi: i reati ipotetici potrebbero essere falso, truffa e sostituzione di persona.
La telefonata
Del caso si è occupato Nicola Porro, conduttore della trasmissione Quarta Repubblica su Rete 4. Il programma ha reso pubblica una telefonata di Massimo D’Alema: “Noi stiamo lavorando perché? Perché siamo stupidi? No, perché siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro“. Motivo per cui si sarebbe potuto fare un investimento. “In questo caso è un contratto commerciale al 2% dell’ammontare del business. È una decisione straordinaria, non è stata facile da conseguire […] Il valore di questo contratto è più di 80 milioni. Quandi anche per questo, diciamo, ci vuole un po’ di tempo“, era stata la spiegazione.
Il ruolo di D’Alema
D’Alema tiene a ricordare che dal 2013 non è più parlamentare. Allo stato attuale svolge un’attività di consulenza: ha una sua società e inoltre lavora con Ernst&Young, di cui è presidente dell’advisory board. Il suo ruolo è quello di consulenza strategica, relazioni, “ma non sono uno che va a fare mediazione di vendita“. Il compito è dunque quello di “sostenere anche le imprese italiane all’estero“.
Per policy aziendale riferisce di non accettare incarichi da società pubbliche, ma solo da private. In molti si chiedono per quale motivo stesse trattando per conto di Fincantieri e Leonardo. Dubbi che l’ex premier bolla come bugie: “Non ho alcun rapporto di lavoro né con Fincantieri né con Leonardo e non trattavo per conto di nessuno“. D’Alema, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, ha fatto sapere di essere stato contattato da personalità politiche colombiane con incarichi istituzionali e di aver poi informato Leonardo e Fincantieri (“che sono importanti clienti di Ernst&Young“).
“Certo“, è la risposta di D’Alema al fatto che lui non avrebbe guadagnato un euro anche se fosse andata bene. Ma allora per quale motivo ha parlato di ben 80 milioni di euro? L’ex presidente del Consiglio ha voluto fornire la sua versione: “Innanzitutto io non ho un’idea precisa di quanto possa essere il success fee in un’operazione di questo tipo, ho fatto riferimento al valore che normalmente si dà a queste transazione, è anche evidente che dovevo convincere un interlocutore riluttante e convincerlo naturalmente a fare una scelta nell’interesse dell’Italia e non della mia persona“.
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