[ad_1]
Articolo tratto dal numero di marzo 2022 di Forbes Italia. Abbonati!
La buona creanza insegna che alle donne non si deve chiedere l’età. Però, di fronte a Camilla Colucci, amministratore delegato e co-founder di Circularity, la startup che ha generato una piattaforma per la gestione degli scarti, viene da chiedersi quanti anni abbia. Non certo per il suo aspetto: giovanile, elegante, educato; quanto per il suo modo di ragionare: pacato, colto, tecnicamente preparato. Camilla è un under 30 all’anagrafe ma è già una manager a tutto tondo nella vita. Non a caso guida un’azienda con 20 dipendenti, tutti molto giovani e in gran parte donne, ed è riuscita a trasformare una conversazione sul divano con suo padre in un’impresa molto orientata al futuro.
Camilla ha già vissuto tre vite: è nata a Napoli, è cresciuta a Roma, sta cercando il successo a Milano. Padre industriale del settore del recupero dei materiali e delle energie rinnovabili, madre geologa, una laurea in psicologia, un cavallo, Wanderlust Kampf, che ha domato lei stessa, a testimonianza della sua grande passione: l’equitazione. E allora, per raccontare Camilla, cominciamo proprio da qui.
Si dice che praticando l’equitazione non si impari solo ad andare a cavallo.
L’equitazione è la mia più grande passione. Per me non è soltanto uno sport, ma la mia prima maestra di vita. Ho iniziato ad andare a cavallo a nove anni e non ho più smesso. Ho conosciuto in quel mondo persone che tuttora ritengo le più importanti della mia vita. Ho iniziato a gareggiare a livello agonistico a 11 anni, partecipando a tre campionati europei e vincendo due volte i campionati italiani. L’equitazione mi ha insegnato il valore del sacrificio, il valore di una sconfitta. Mi ha insegnato ad assumermi le mie responsabilità e a sfruttare la rabbia e la paura per armarmi invece che indebolirmi. Tanto di quello che sono oggi lo devo a questo sport, e non a caso ‘che sport pratichi?’ è una delle domande che spesso faccio ai colloqui con i candidati.
Veniamo al sodo. Come ti è venuta l’idea di costruire un’azienda?
L’idea è nata una sera da una conversazione sul divano con mio padre. Stavamo parlando della possibilità di creare una piattaforma in grado di aiutare le aziende a riciclare i loro rifiuti, per rendere più efficiente e innovare il settore dei rifiuti in Italia, che è ancora legato a passaggi di passaparola e fornitori decennali.
Ma come? Sul divano a parlare con papà di riciclaggio dei rifiuti a poco più di 20 anni?
Strano? Per niente. In famiglia abbiamo una forte cultura della sostenibilità ambientale. Sono temi di cui parliamo spesso anche per le professioni dei miei genitori molto legate ai temi ambientali.
Quindi dal divano è spuntata l’idea di Circularity.
Sì. Circularity è nata nel 2018 ed è la prima piattaforma tecnologica di collaborazione peer to peer che integra in un sistema completo tutti gli attori coinvolti nell’economia circolare per scambiare materiali da riutilizzare nei processi di produzione, tracciare e rendere trasparenti i flussi di materia. L’obiettivo dell’azienda è quello di accompagnare le imprese nel processo di transizione verso modelli e processi di produzione e consumo circolari, per aiutarle a soddisfare il proprio bisogno di materie prime attraverso l’utilizzo efficiente di materiali di scarto di altre filiere.
E per cominciare come hai fatto?
Tra i soci ci sono alcuni conoscenti e manager che hanno collaborato con mio padre, tra cui Alessandra Fornasiero (l’anno scorso tra le 100 donne di Forbes). Con loro abbiamo sviluppato la piattaforma immaginando una sorta di Booking per i rifiuti, quindi con una mappa del territorio e aziende catalogate nel corso del primo anno e inserite in piattaforma come quattro attori: produttori, impianti, trasportatori e utilizzatori finali.
Su cosa si basa il modello Circularity?
Il modello di business è basato su due asset principali. Da un lato, la possibilità di accedere a un network di aziende che possano trovare soluzioni “circolari” per la valorizzazione dei loro scarti, acquisendo consapevolezza sul loro fine vita, sul tipo di impiantistica e su quale sia l’effettiva percentuale di recupero con cui i materiali sono stati lavorati, per poi poter essere reimpiegati come materia prima seconda per nuovi prodotti. Attualmente stiamo sviluppando la versione 2.0 della piattaforma, per rendere sempre più automatizzato il match tra diverse realtà imprenditoriali in modo da fornire risultati per dare soluzioni concrete alle imprese, superando così il ruolo del consulente e dell’intermediario.
Come funziona esattamente la piattaforma nel mercato dei rifiuti?
Ogni azienda che ha un ciclo produttivo genera degli scarti, che vengono stoccati e affidati a fornitori che li portano in impianti di smaltimento o di riciclo. Il produttore poi, tendenzialmente, non sa cosa viene fatto dei suoi scarti e se vengono effettivamente impiegati nuovamente. I fornitori solitamente sono scelti in base al prezzo, e questa è l’unica variabile che, fino a poco tempo fa, era considerata importante. Attualmente, però, con una maggiore sensibilizzazione sul tema è emerso l’obiettivo di scegliere i fornitori in base all’impatto ambientale e non più solo economico.
Circularity in quali passaggi interviene?
In tutti, dall’inizio alla fine. L’obiettivo della piattaforma è chiudere il cerchio per trovare i partner migliori per le imprese che nei loro processi industriali producono rifiuti, affinché i materiali vengano riutilizzati e non smaltiti in discarica. Concretamente, l’azienda A si registra in piattaforma, qualifica i materiali legati al suo ciclo di produzione comunicandone la composizione chimico-fisica e il codice del rifiuto a cui sono associati. La piattaforma, con una serie di algoritmi, trova i partner in grado di riciclare quei rifiuti e comunica quindi all’azienda i possibili match, con i trasportatori autorizzati a prendere in carico il rifiuto e gli impianti di destinazione utili per riciclare quel rifiuto. E poi, potenzialmente, con l’azienda B, che chiude il cerchio e riutilizza il materiale riciclato.
Quali ostacoli ha dovuto affrontare l’amazzone Camilla?
Una delle maggiori criticità riscontrate fin da subito è quella di un mercato ancora per certi versi acerbo e in parte restio all’adozione di uno strumento che rende pubblici i dati relativi alla gestione dei propri flussi di materia. Quattro anni fa le aziende non erano inclini, e alcune non lo sono tuttora, a usare servizi online offerti come ‘aste’ dei propri scarti; perciò, abbiamo attivato servizi di consulenza tecnico-strategica per guidarle verso una maggiore consapevolezza del valore intrinseco della simbiosi industriale.
Il cambiamento del clima verso l’utilizzo dei rifiuti ha dato una mano?
Il cambiamento di mentalità, che permette di considerare i rifiuti come valore potenziale e non come un costo e qualcosa di cui disfarsi, non è ancora così diffuso. Allo stesso modo, l’approvvigionamento di materiali riciclati in ingresso a volte ha un costo maggiore per le aziende rispetto alla materia prima vergine, e sono poche le imprese che danno la priorità a investimenti in ricerca e sviluppo per analizzare come valorizzare i propri scarti di produzione.
Accennavi a due asset. Il primo è la piattaforma. Il secondo?
Il secondo asset è l’advisory. Negli ultimi due anni siamo cresciuti molto grazie alla costruzione di un team di giovani professionisti esperti di tematiche di sostenibilità e di ingegneria dei materiali, puntando sulle sinergie con le aziende del Gruppo Innovatec (controllato dalla famiglia Colucci, ndr). L’impegno quotidiano è quello di promuovere servizi che siano in grado di accompagnare le aziende nel percorso di integrazione della circolarità all’interno del proprio modello di business, attraverso l’erogazione di consulenza tecnica e strategica, oltre che di formazione e supporto sul recepimento delle normative ambientali.
Come vanno gli affari?
Circularity è nata nel 2018 e sta crescendo grazie alla passione comune di promuovere uno sviluppo sostenibile. Le società tradizionali hanno come obiettivo quello di massimizzare i loro profitti, mentre le società benefit come Circularity integrano nel proprio oggetto sociale lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e il territorio, al fine di creare le condizioni favorevoli alla prosperità sociale e ambientale. In tre anni abbiamo aumentato del 1.300% il numero dei nostri clienti. Dal 2020 al 2021, nonostante la pandemia, abbiamo avuto una crescita del 300% in termini di fatturato e abbiamo catalogato più di 25mila aziende nella nostra piattaforma di simbiosi industriale.
Quest’idea della società benefit è una moda o un bisogno?
A oggi si segue un trend. Nonostante la moda, l’importante è che si faccia qualcosa di concreto per arrivare all’obiettivo di contribuire alla comunità. Noi siamo benefit dalla fondazione, ovvero prima che il trend fosse questo. Il nostro core business è dalla fondazione dare un impatto positivo sull’ambiente.
In Circularity lavorano più donne o più uomini?
Il team di Circularity è composto oggi da 20 persone, con un’età media di 30 anni. Siamo 13 donne e otto uomini, ma ricopriamo gli stessi ruoli indipendentemente dal genere. Io credo fermamente che la nostra generazione, se vogliamo dire i millennial, abbia a cuore le tematiche ambientali anche perché cresciuta sentendosi in dovere di rimediare agli errori delle generazioni precedenti.
L’economia circolare e più in generale la sostenibilità sono più vicine alla sensibilità femminile?
È vero che l’attenzione verso queste tematiche implica aspetti di cura, tutela e sensibilità che, per definizione sono sempre state considerate caratteristiche femminili. Ma io credo fermamente che i giovani di oggi non guardino più queste caratteristiche considerandole debolezze, e che col passare del tempo lavorare come sustainability manager o circular economy specialist non sarà una scelta che dipenderà dal genere ma da valori e alla doveri che portiamo avanti come esseri umani.
Essere imprenditrice e manager così giovane che responsabilità ti dà?
Qualche pensiero me lo crea, però la mia esperienza parallela come psicologa mi aiuta nella gestione del team. Ho sempre cercato di promuovere la crescita del team attraverso una sorta di leadership diffusa, facendo sentire tutti abbastanza indispensabili e cercando di fare emergere il valore aggiunto di ognuno. Si sentono tutti parte del progetto e questa è la mia più grande soddisfazione.
Dietro l’angolo c’è il tuo futuro. Come lo immagini?
Abbiamo l’obiettivo di diventare punto di riferimento per l’economia circolare in Italia di qualunque categoria merceologica e crescere anche in ottica di tracciabilità dei flussi, sviluppando blockchain. Ora stiamo lavorando sulla piattaforma 2.0, che renderà sempre più automatica la valutazione dell’impatto ambientale delle imprese e le aiuterà operativamente a ridurre questo impatto nel tempo, grazie al networking e alla collaborazione con i partner giusti.
Sei laureata in psicologia ma hai una buona competenza tecnica sui temi ambientali. Come l’hai appresa?
L’ho imparata sul campo dal lavoro di squadra con i ragazzi del team, gestendo in prima persona i progetti e partendo dalla gavetta.
Temi quelli più bravi o esperti di te?
Quelli più bravi sono fonte di ispirazione e, dato che penso si possa sempre migliorare nella vita, i migliori saranno dei benchmark di riferimento. Quindi no, non temo i migliori.
Quanti concorrenti ci sono nel tuo settore?
Ce ne sono alcuni che sono, però, frutto di progetti europei e quindi sono semipubblici. A livello di startup siamo gli unici. Ci sono competitor che si occupano solo di una parte di ciò che facciamo mentre noi, come Circularity, lavoriamo a 360 gradi, su tutto ciò che riguarda l’economia circolare e la sostenibilità ambientale.
Circularity è stata scelta come advisor da Banca Intesa. Un incarico importante per una start up.
Collaboriamo con loro e realizziamo per le loro aziende clienti una valutazione sul livello di sostenibilità. Abbiamo iniziato a metà 2020 a proporre Circularity come piattaforma a Banca Intesa per promuovere la gestione dei materiali in ottica circolare. Ci hanno commissionato la costruzione di un tool che, sulla base di analisi di benchmark, misura su una scala da zero a 100 la sostenibilità di un’impresa. L’obiettivo è di integrare il rating di sostenibilità con quello finanziario. Quindi cercare di comprendere se un’impresa sostenibile sia anche finanziariamente solida.
Viviamo in una società che produce tanti scarti. I rifiuti ci sommergeranno o ci salveranno?
I governi e il mercato si stanno muovendo verso l’incentivazione di prodotti, processi circolari e sostenibili. Questo implica che l’innovazione tecnologia porterà l’Italia e l’Europa ad avere l’impiantistica necessaria per riciclare i rifiuti che produciamo invece di portarli all’estero.
Quali consigli daresti a un giovane che vuole realizzare un progetto imprenditoriale?
Prima di tutto di iniziare dalla gavetta e imparare un po’ di tutto. Poi di circondarsi di persone di cui hai stima, di cui ti fidi, e che ne sanno molto più di te. Mio padre mi ha sempre detto: ‘Stai con chi è migliore di te e facci le spese’. Molte delle cose che so fare oggi le ho imparate sul campo, con il confronto continuo con manager che lavorano da anni nel settore e con la messa a terra di idee insieme a ragazzi che, come me, non avevano tante esperienze precedenti su cui basarsi. Infine, di dare sempre valore e riconoscimento ai singoli, ma considerare le vittorie come frutto di un lavoro di squadra. In una startup non c’è posto per ‘io’: tutti fanno tutto e la crescita di uno deve poter essere la crescita di tutti.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it Iscriviti
[ad_2]
Source link