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Negli ultimi dieci giorni in Israele ci sono stati almeno tre attacchi terroristici compiuti da palestinesi che hanno causato 11 morti e decine di feriti e generato moltissime preoccupazioni nell’opinione pubblica israeliana, che teme una lunga serie di attentati ravvicinati come successo diverse volte nella storia del paese, l’ultima delle quali nel 2015.
Ai timori si sono aggiunte diverse critiche alle agenzie di intelligence nazionali, dato che tre delle quattro persone considerate responsabili degli attacchi erano da anni conosciute dall’intelligence. Diversi commentatori sostengono che le autorità israeliane potessero fare di più per evitare gli attacchi, e il governo israeliano ha già annunciato misure più stringenti nei confronti dei palestinesi. La situazione si è fatta così tesa che il primo ministro Naftali Bennett ha consigliato a tutte le persone che hanno il porto d’armi di girare armati.
A partire da martedì 22 marzo ci sono stati tre attacchi, oltre a episodi minori di violenze. Il primo è avvenuto martedì 22 a Be’er Sheva, una importante città nel sud del paese al confine col deserto del Negev: un uomo ha ucciso a coltellate un ciclista e tre clienti di un centro commerciale. Cinque giorni dopo ad Hadera, una cittadina fra Haifa e Tel Aviv, due uomini hanno sparato e ucciso due poliziotti israeliani. Martedì 29, infine, un uomo ha sparato a un gruppo di persone a Bnei Brak, un quartiere di Tel Aviv abitato soprattutto da ebrei ultraortodossi, uccidendone cinque.
I primi due attacchi sono stati rivendicati dallo Stato Islamico (ISIS), e sono stati compiuti da persone di origine palestinese ma con la cittadinanza israeliana. L’uomo che ha ucciso cinque persone a Bnei Brak, in particolare, era ben conosciuto dalle agenzie di intelligence israeliane, ha detto una fonte di sicurezza al Wall Street Journal: in passato aveva fatto parte della Brigata dei Martiri di al Aqsa, il braccio militare di Fatah, il partito moderato del presidente palestinese Mahmoud Abbas, e aveva passato due anni e mezzo nelle carceri israeliane.
«Non c’è dubbio che le persone che hanno commesso questi tre attacchi avrebbero dovuto essere individuate dall’intelligence interna», ha scritto Amos Harel, il principale commentatore di questioni militari e di sicurezza per il quotidiano israeliano Haaretz. Al contempo, aggiunge Harel, «in molti casi questi attacchi sono compiuti da piccole cellule che si formano per un attentato specifico, o da “lupi solitari” che agiscono senza appoggi e spesso non hanno una chiara affiliazione a un’organizzazione terroristica». In altre parole, attacchi come questi rimangono difficilissimi da prevenire, nonostante negli ultimi anni siano diventati assai frequenti, in Israele come in alcuni paesi occidentali.
Il fatto che siano avvenuti a poca distanza l’uno dall’altro potrebbe essere dovuto a una sovrapposizione di eventi importanti, in occasione dei quali le tensioni sono solite aumentare. Nei giorni scorsi si sono tenuti sia un incontro di altissimo livello fra i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Israele e quattro stati arabi (Emirati Arabi Uniti, Egitto, Marocco e Bahrein) nell’ambito dei cosiddetti Accordi di Abramo – molto osteggiati dalla classe dirigente palestinese – sia le annuali celebrazioni del Giorno della Terra, una festività palestinese che ricorda le proteste di massa avvenute nel 1976 contro una legge israeliana che consentiva di fatto estesissime espropriazioni di terreni agricoli in Cisgiordania.
– Leggi anche: Che cos’è il “giorno della Nakba”
Il timore di alcuni osservatori è che potremmo essere soltanto all’inizio di una serie di attacchi: ad aprile per la prima volta negli ultimi dieci anni si sovrapporranno per alcuni giorni la Pasqua ebraica, il mese sacro per i musulmani, cioè il Ramadan, e la Pasqua cristiana. Due settimane fa – quindi prima degli attacchi degli ultimi giorni – alcuni funzionari dell’intelligence israeliana avevano detto ad Axios che fino a quel momento non c’erano elementi per pensare a una escalation di violenze, ma che il rischio esiste e che in occasioni come queste ogni piccolo incidente può trasformarsi di qualcosa di più grosso.
Per cercare di prevenire ulteriori attacchi, in settimana il governo israeliano ha rafforzato la presenza del proprio esercito in Cisgiordania – un territorio che occupa illegalmente dal 1967, secondo la maggioranza della comunità internazionale – e consentito a tutti i militari di portarsi a casa l’arma che utilizzano al lavoro.
Al momento però il governo Bennett non ha preso una delle misure più frequenti in casi del genere, benché sia spesso controproducente: cioè la restrizione degli ingressi alla moschea al Aqsa, nella Città Vecchia di Gerusalemme, dove nel mese di Ramadan si tengono le funzioni religiose più sentite dai fedeli musulmani.
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