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«Orban deve ancora decidere se stare con le vittime dell’Ucraina o con gli assassini, non vuole fare sgarbi al suo amico Putin». Il leader dell’alleanza delle opposizioni, Peter Marki-Zay, a Budapest, alla vigilia del voto, ha sfidato così lo strapotere del premier che governa il Paese da oltre dodici anni consecutivi. «Queste elezioni stabiliranno dove deve stare l’Ungheria: noi pensiamo – ha detto – che debba stare in Europa, assieme alle democrazie occidentali; Orban vuole invece un regime repressivo, autocratico, controllato dalla Russia».
Campagna elettorale stravolta
La guerra nella confinante Ucraina ha stravolto in corsa la campagna che ha portato alle elezioni di oggi in Ungheria. Le difficoltà economiche per uscire dalla crisi pandemica, lo scontro sull’Unione Europea e il rispetto dello stato di diritto, le leggi contro la comunità Lgbtq+, la gestione dei migranti, la corruzione nell’amministrazione: tutto è passato in secondo piano.
Il Fidesz del sovranista e conservatore Viktor Orban è in testa nei sondaggi ma ha un vantaggio di soli pochi punti percentuali sulle opposizioni, che per la prima volta dal 2010 si presentano con un’unica lista, Uniti per l’Ungheria (che va dai Socialisti, ai centristi di Coalizione democratica, fino allo Jobbik, l’ex formazione di estrema destra diventata moderata ed europeista). E un unico leader, Marki-Zay, economista moderato che ha vinto le primarie in autunno da indipendente.
L’incognita indecisi
Su otto milioni di elettori almeno il 20% si dice inoltre indeciso e in dubbio se presentarsi alle urne. La gara è aperta anche se impari, tanto che l’Osce monitorerà le operazioni di voto, non era mai accaduto in un Paese della Ue: «La maggioranza di destra ha il controllo totale del territorio, circoscrizione per circoscrizione, ha risorse enormi da destinare alla campagna senza doverne rendere conto, ha tutti i media dalla sua parte, ha anche modificato la legge elettorale a suo piacimento», spiega Zsuzsanna Szelenyi, tra i fondatori del Fidesz durante la transizione democratica, uscita dal partito già nel 1994, in totale disaccordo con la svolta nazionalista impressa da Orban, e poi parlamentare indipendente.
«Orban e i suoi usano le risorse pubbliche per comprare il sostegno politico: negli ultimi mesi del 2021, hanno distribuito bonus e sussidi a pensionati, giovani, famiglie con bambini; hanno tagliato le bollette dell’energia; hanno calmierato i prezzi dei generi alimentari di base. In tutto hanno versato agli elettori 5 miliardi di euro, una spesa pari al 3-4% del Pil che il bilancio pubblico non può sostenere», aggiunge Szelenyi, seduta alla caffetteria della Central European University, l’università costretta a interrompere i corsi nel Paese perché sostenuta dal finanziere e filantropo George Soros.
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