Sab. Nov 23rd, 2024

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Mentre le restrizioni decadono progressivamente anche se si presenta all’orizzonte il proliferare di nuove varianti possibilmente pericolose come il ceppo XE, ci si interroga su cosa rimarrà nelle nostre vite anche ben oltre la fine dello stato di emergenza, l’addio alle mascherine e a tutti quelle limitazioni e abitudini che hanno caratterizzato gli ultimi anni.

Accanto alle perdite, l’aspetto sicuramente più drammatico di questa emergenza pandemica, ci sono infatti anche altri risvolti critici sulla quotidianità della comunità.

Abbiamo già sentito parlare a lungo dei sintomi del long Covid ma la fine del picco emergenziale del coronavirus sta evidenziando anche l’insorgenza di altre patologie negli ex pazienti Covid. L’infiammazione provocata dal Sars-CoV-2 ad esempio potrebbe causare l’insorgenza del diabete.

Aver contratto la malattia infatti ha indebolito così tanto alcune persone che vari studi hanno cercato di prendere in analisi la correlazione tra lo sviluppo del diabete e la guarigione dal virus. Riassumiamo qui le scoperte più rilevanti e le valutazioni a cui la comunità scientifica è giunta in questi due anni di osservazioni e indagini.

Primi segnali nel 2020, oggi le conferme

Mettiamo in fila i dati partendo dalle origini. Come riporta National Geographic, nella primavera del 2020 alcuni medici di New York avevano notato che un numero considerevole di persone ricoverate per COVID-19 presentavano livelli di zucchero nel sangue tali da essere definiti affetti da iperglicemia, una condizione tipica dei diabetici.

Il biologo Shuibing Chen, esperto in cellule staminali presso il Weill Cornell Medicine, racconta infatti di come questo fenomeno fosse difficile da tenere sotto controllo anche perché una parte dei pazienti sviluppavano il diabete solo dopo essere guariti dalla COVID-19, spesso senza una storia clinica troppo coerente alle spalle.

La mancata correlazione tra i danni all’apparato respiratorio prodotti dal virus della COVID-19 e il diabete poi resta infatti ancora un mistero, ma il dato statistico poggia su basi fattuali ampie e ormai, dopo i due anni trascorsi dalle prime insorgenze del fenomeno, ben documentate.

Un’ipotesi è che, almeno una parte della popolazione, fosse semplicemente predisposta alla malattia ma che, indebolita, abbia visto il proprio sistema sollecitato in maniera tanto rapida da dare i primi segnali evidenti di diabete «dal nulla».

Chi e come potrebbe essere colpito

Un’analisi globale del 2020 condotta dal ricercatore sanitario Thirunavukkarasu Sathish presso la McMaster University in Canada evidenziò che quasi il 15% dei pazienti presentava quest’insorgenza diabetica. Le ricerche di Sathish sono state proseguite in Italia dall’endocrinologo Paolo Fiorina presso la Harvard Medical School per essere poi rese note nel 2021. In quel caso su un gruppo di 551 pazienti quasi la metà aveva sviluppato l’iperglicemia. Questi dati aveva portato quindi il biochimico della Stanford University School of Medicine Peter Jackson a sostenere che “la percentuale di pazienti con forma grave di COVID-19 che possono sviluppare il diabete arrivi al 30%”.

Quindi allora viene spontaneo chiedersi: secondo quali «criteri» si può stabilire se si è o meno predisposti allo sviluppo del diabete post-Covid?

Sempre secondo quest’ultimo studio, chi ha affrontato un ricovero in ospedale o peggio in terapia intensiva ha quasi il triplo di probabilità in più rispetto a chi non ha contratto l’infezione in maniera grave.

Ulteriori esiti emersi sono quelli che vedrebbero per lo più veterani americani bianchi, molti dei quali affetti da obesità e pressione alta, come i principali prototipi di soggetti a rischio.

Il gruppo campione utilizzato però non è abbastanza eterogeneo per stabilire con certezza le diverse ipotetiche espressioni della malattia su base etnica e nazionale. Il dato relativo quindi è da considerarsi estremamente parziale.

A tal proposito però sono intervenuti anche i team di ricercatori del German Diabetes Center (DDZ), del German Center for Diabetes Research (DZD) e dell’IQVIA (Francoforte) che hanno tracciato, tra le altre cose, alcuni sintomi premonitori della malattia come affaticamento, minzione frequente e aumento della sete.

Un ultimo dato importante da tenere a mente è che non è chiaro se questi cambiamenti metabolici siano o meno transitori. Non siamo ancora certi insomma che il COVID-19 aumenti il rischio di diabete in modo persistente.

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