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Anche il comandante italiano della base militare aerea navale di Sigonella è stato denunciato alla Procura di Siracusa per responsabilità nell’attacco con droni del 29 novembre 2018 con il quale i velivoli americani partiti dalla struttura italiana colpirono e uccisero 11 membri della comunità Tuareg vicino a Ubari, in Libia. Un’operazione che colpì solo civili innocenti e non obiettivi militari, tanto che i familiari delle vittime hanno deciso, il 31 marzo scorso, di denunciare, grazie anche al supporto di Rete Italiana Pace e Disarmo, Reprieve e lo European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr), quello che ritengono essere un crimine che si è cercato di giustificare con la lotta al terrorismo nell’area.
Nonostante l’attacco, come detto, sia stato sferrato dai militari americani impegnati nelle operazioni aeree sulla Libia, nella denuncia si accusa il comandante italiano di avere permesso un raid letale in violazione del diritto internazionale e del diritto interno italiano. Affermazioni che, si legge in un lungo comunicato delle organizzazioni che supportano i familiari delle vittime, si basano su un aspetto in particolare: “Il governo di Roma ha permesso al Comando Usa per l’Africa (Africom) di usare la base di Sigonella per la sua cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ e per le operazioni di ‘targeted-killing‘ (uccisioni mirate) e per tale motivo la base siciliana gioca un ruolo vitale nel programma dei droni statunitensi in Nord Africa e nel Sahel“.
Come spiegano le organizzazioni, la presenza e le attività americane nella base militare siciliana, così come anche il ruolo svolto dal comandante italiano, sono regolate dall’accordo tecnico Usa-Italia del 2006 secondo il quale le truppe americane sono obbligate a notificare alle autorità italiane tutte le attività significative degli Stati Uniti, escludendo solo le operazioni di routine. “Chiaramente, un’operazione condotta con i droni che implica l’uso di forza letale non è considerabile di routine – ha dichiarato Chantal Meloni, consulente legale di Ecchr – Il Comandante italiano deve aver conosciuto e approvato l’operazione e può quindi essere ritenuto penalmente responsabile come complice per aver permesso un attacco letale illegale. Tale circostanza configurerebbe una violazione del diritto internazionale e del diritto alla vita”.
Da parte del comando americano c’è già stato il riconoscimento dell’operazione. Ma secondo Africom questa si è svolta contro un gruppo di membri di al-Qaeda. Accusa falsa, secondo quanto spiegano i familiari. In particolare uno, Madogaz Musa Abdullah, fratello di Nasser, una delle vittime: l’uomo spiega che, insieme alla maggioranza delle persone uccise nell’attacco, suo fratello era membro delle Forze armate del governo libico di unità nazionale riconosciuto dall’Onu. “Africom ha ucciso delle persone innocenti – ha dichiarato l’uomo che ora chiede giustizia – Hanno affermato che i nostri figli erano terroristi e hanno messo fine alle loro vite senza alcuna prova. Vogliamo che il governo italiano ci ascolti e che impedisca ad Africom di uccidere ancora la nostra gente. Chiediamo a entrambi i governi di scusarsi e che quello italiano apra un’indagine trasparente e chieda conto ai responsabili dell’autorizzazione dell’attacco”.
Una storia, questa, che ricorda per certi versi quella nella quale furono indagati per abuso d’ufficio due direttori generali pro-tempore della Uama, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, nell’indagine avviata sull’export verso l’Arabia Saudita di bombe fabbricate dalla Rwm Italia, dopo l’uccisione di un’intera famiglia yemenita di sei persone per mano dell’aviazione di Riyad, nella notte tra il 7 e l’8 ottobre 2016.
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