Ven. Nov 22nd, 2024

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L’Europa si organizza sulle sanzioni all’energia russa. La questione è sul tavolo, anche se il fronte Ue è ancora molto frammentato. Domani il quinto pacchetto di restrizioni Ue arriva sul tavolo del Coreper, la riunione degli ambasciatori dei Ventisette a Bruxelles: la chiave del compromesso, visto che per approvare le misure serve l’unanimità, sarebbe “separare” le fonti fossili, tenendo (per ora) il gas al riparo della tagliola.

Gas russo, cosa succede in caso di stop? Pronti accordi con altri Paesi produttori (ma anche i razionamenti)

A suonare la carica, ieri, è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che ha invocato restrizioni «molto chiare» per «carbone e petrolio». L’assenza piuttosto vistosa, nell’affondo dell’Eliseo, è quella del gas russo – da cui l’Ue dipendeva ancora a inizio anno per oltre il 40% – con il prezzo che ieri è infatti lievemente sceso. Questo nonostante il forte pressing dell’Est Europa, dei Baltici, che hanno già cominciato a fare a meno delle forniture di Mosca. E della Polonia che continua a chiedere un summit straordinario e «sanzioni più efficaci». Energetiche, ma anche commerciali, con il possibile stop alle merci e alle navi russe nei porti Ue e la chiusura – ipotesi su cui l’Est è al lavoro – delle rotte terrestri.
 

Intanto, la Germania ha nazionalizzato temporaneamente la filiale tedesca di Gazprom, affidata all’agenzia federale delle reti, dopo che venerdì il ramo del monopolista di Stato russo aveva annunciato la dismissione della controllata. Proprio Berlino è l’osservato speciale – ma certo non il solo – per capire l’intensità delle nuove misure: nel governo è tornata la cautela dopo la fuga in avanti della ministra della Difesa Christine Lambrecht, che aveva parlato esplicitamente di stop al gas. «Per arrivare a un embargo c’è bisogno di tempo. Dobbiamo distinguere per il momento tra petrolio, carbone e gas», ha precisato il ministro delle Finanze Christian Lindner. Diversificazione e progressiva riduzione dei flussi, insomma, ma non immediata chiusura dei rubinetti. L’Austria è stata ancora più chiara: la situazione in Ucraina «è drammatica», ma «quando si parla di sanzioni bisogna rimanere freddi, perché misure che colpiscono noi più di quanto colpiscano la Russia non sarebbero giuste», ha dichiarato il ministro di Vienna Magnus Brunner. Sulle stesse posizioni da settimane l’Ungheria, adesso forte della riconferma a valanga del premier Viktor Orbán nelle urne di domenica. 

Con le capitali impegnate a trattare, però «nessuna opzione è esclusa», ha ricordato il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, convinto che «saremmo in grado di affrontare lo scenario senza gas russo, ma non mancherebbero le difficoltà». La pressione si fa pure diplomatica: la Germania ha espulso ieri quaranta funzionari della rappresentanza russa e la Francia trenta, mentre la Lituania ha giocato di nuovo in anticipo fra i Paesi Ue e ha “cacciato” l’ambasciatore di Mosca.
 

LA PARTITA ITALIANA
A Roma si osserva con il massimo interesse ciò che accade a Bruxelles e nelle altre cancellerie europee. Mario Draghi – che deve fare i conti con una dipendenza dal gas di Mosca pari al 40% dell’intero fabbisogno e con il rischio-salasso di imprese e famiglie a causa del caro bollette – come dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio «non si tirerà indietro dopo le atrocità di Bucha». «Non porrà veti» su eventuali «sanzioni che riguarderanno anche l’embargo del gas russo». Ma, in base a ciò che filtra da palazzo Chigi, «ogni nuova misura e iniziativa sarà presa e coordinata nella cornice europea».

Insomma, il premier italiano in questa fase né spinge per l’embargo, né frena. In sintesi: non vuole esporsi. E non intende farlo per evitare, com’è accaduto all’inizio della guerra, che da Washington, Londra e da qualche Paese Baltico, partano nuove bordate contro le resistenze e «le ambiguità» dell’Italia nell’imporre sanzioni anti-Putin. «Del resto», dice un’alta fonte di governo, «non c’è neppure bisogno di mettersi di traverso. Ci pensano la Germania e l’Austria, dipendenti quanto e più di noi dal gas russo, a fermare questa sanzione che si rivelerebbe un boomerang. Perché è vero che colpirebbe Mosca, ma farebbe più male a noi». Traduzione: Draghi apprezza lo stop di Berlino e Vienna all’embargo del gas russo. Ma, al pari di Emmanuel Macron, è d’accordo su misure che colpiscano petrolio e carbone.

Perciò il pressing del segretario del Pd Enrico Letta, che dopo l’eccidio di civili a Bucha aveva sollecitato lo stop al gas russo, è destinato a fallire. Come probabilmente non sortirà alcun effetto, a causa del “no” tedesco e dei Paesi del Nord, la nuova offensiva di Di Maio e del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani a favore del “price cap”: «Vanno tutelate famiglie e imprese dall’aumento dei costi nel settore energetico, serve un tetto al prezzo del gas». Come servirebbe «un fondo compensativo». Ma forse quest’ultimo, grazie alla sponda di Macron, ha qualche chance in più di vedere la luce.
 

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