Ven. Nov 22nd, 2024

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AGI – Chi l’avrebbe detto, anche solo pochi mesi fa, che Angela Merkel si sarebbe trovata a lottare per difendere la propria eredità? Chi l’avrebbe detto che l’immagine che passerà alla storia, la sua icona, sarebbe stata minacciata dai fantasmi dei rapporti con Mosca? Da un passato, spesso glorificato, fatto anche di centinaia di telefonate e di incontri con Vladimir Putin, nel tentativo di tenere in vita il dialogo con il Cremlino, architrave del multipolarismo tedesco degli ultimi decenni? Oggi, a fronte delle immagini raccapriccianti in arrivo da Bucha, mentre le bombe russe continuano a cadere sulle città ucraine e la conta delle vittime civili arriva a cifre triple, si fanno sempre più rumorose – in Germania, in Ucraina, in Polonia, nel mondo – le voci che rimettono in discussione almeno due decadi di politica estera della Repubblica federale.

Ultimi agoni di polemica il ‘no’ tedesco all’adesione dell’Ucraina alla Nato targato Merkel nel 2008 ed il lancio del mega-gasdotto Nord Stream 2, che l’ex cancelliera ha continuato a difendere fino all’ultimo, ma che alla fine il suo successore Olaf Scholz ha dovuto frettolosamente ‘congelare’. Polemiche estese anche al presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier, che fu capo della cancelleria ai tempi di Gerhard Schroeder (oggi manager di primo piano nei cda di Rosneft, Nord Stream e Gazprom) nonchè due volte ministro degli Esteri nei governi Merkel. Insomma: al banco degli imputati c’è tutta il seguito della Ostpolitik tedesca dalla caduta del Muro ad oggi, quel tentativo di “costruire ponti” con Mosca nel segno di una “architettura della sicurezza europea” che comprendesse anche Mosca.

Per dire, persino la Frankfurter Allgemeine Zeitung – giornale tradizionalmente vicino alla cancelliera – ieri titolava a caratteri cubitale “L’errore strategico di Merkel“, a proposito del vertice Nato del 2008 di Bucarest: si è trattato, così la Faz, di un “calcolo sbagliato” che ha contribuito ai disastri bellici di oggi. “A quel vertice l’allora presidente Bush voleva arrivare ad una rapida accoglienza dell’ex repubblica sovietica: la Germania e la Francia lo impedirono, per considerazione della Russia”. Il compromesso che ne uscì, dove si promise una futura adesione senza portarla mai a fondo, è stata “la peggiore di tutte le soluzioni”, dice il giornale: “Se l’Ucraina fosse stata accolta, Putin non avrebbe mai osato un attacco, e se l’adesione non fosse stata prospettata, sarebbe venuto meno almeno questa scusa per un attacco”. In pratica, la decisione di Bucarest creo’ “una terra di nessuno strategica dalla quale Putin da 14 anni taglia fuori singoli pezzi”. Decisamente, taglia corto la Faz, “non è stato un capolavoro della diplomazia occidentale”.

Il commento di Merkel

Così, per la prima volta da settimane, ha battuto un colpo la stessa ex cancelliera: con una nota ufficiale diffusa da una sua portavoce, Merkel ha fatto sapere che tiene fede alla sua decisione di allora. Aggiunge, la nota, che “alla luce degli orrori visibili a Bucha e in altri luoghi dell’Ucraina, tutte gli sforzi del governo federale e della comunità internazionale nello stare a fianco dell’Ucraina e di impegnarsi per la fine delle barbarie e della guerra della Russia trovano il suo pieno sostegno”. Difficile sostenere che basti. Già il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva ribadito le sue forti critiche verso la Germania, che aveva parlato di una “paura assurda di alcuni politici verso la Russia”, a causa della quale si è avuta una rivoluzione in Ucraina, otto anni di sangue nel Donbass e ora “il peggiore conflitto in Europa dalla Seconda guerra mondiale”.

Da lì il provocatorio invito rivolto a Merkel e anche all’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, anche lui protagonista di quel fatidico summit del 2008: “Invito la signora Merkel ed il signor Sarkozy a visitare Bucha per vedere dove a cosa ha portato la politica delle concessioni alla Russia”. Parole pesanti come pietre anche quelle dal premier polacco Mateusz Morawiecki: “Signora cancelliera, lei tace dall’inizio della guerra. Ma è stata proprio la politica della Germania degli ultimi dieci, quindici, anni a far avere alla Russia una forza che si fonda tutta sul monopolio della vendita delle sue energie fossili”.

Ovviamente qui il riferimento è alla dipendenza della Germania dal gas russo e alla pipeline Nord Stream 2, osteggiata con vigore negli ultimi anni sia dagli Stati Uniti che dalla Francia, senza parlare ovviamente dell’Ucraina. Ieri anche Steinmeier ha finalmente dichiarato che “si è trattato di un errore tener fede al progetto”. Un vero e proprio ‘mea culpà quello del presidente, dopo giorni e giorni in cui è stato chiamato in causa per le sue scelte in politica estera verso Mosca. A cominciare dall’ambasciatore ucraino a Berlino, Andrij Melnyk, secondo il quale per il capo dello Stato tedesco il rapporto con Mosca “è qualcosa di fondamentale, addirittura sacro”.

Il bilancio amaro di Steinmeier

L’uomo di Kiev ha poi rincarato la dose, aggiungendo che sin dai tempi della cancelliera Schroeder Steinmeier aveva creato “una rete di contatti con la Russia nei quali sono coinvolte molte persone che tutt’oggi hanno un ruolo importante nel governo semaforo”. Colpito nel vivo, il presidente tedesco ha riconosciuto i suoi errori sui giornali e in televisione: “Abbiamo mantenuto in vita dei ponti alla quale la Russia non credeva più e rispetto ai quali i nostri partner ci avevano più volte avvertito”.

E per quanto riguarda l’invasione dell’Ucraina, Steinmeier spiega che “la mia valutazione era che Putin non avrebbe rischiato la completa rovina economica, politica e morale del suo Paese in nome della follia imperiale: in questo mi sono sbagliato, come anche altri“. Insomma, quello dell’inquilino di Castello Bellevue è un “un bilancio amaro”, visto che “abbiamo fallito nella costruzione di una casa comune europea nella quale venisse compresa anche la Russia”. Ma a quanto pare neanche questo basta a placare le acque. Almeno non per la Welt, che dedica alle colpe di Steinmeier un lungo editoriale a firma del suo ex direttore Thomas Schmid: “Ha sempre sottolineato la necessità del dialogo con Mosca, ma non ha mai messo in guardia in modo chiaro e inequivocabile sulla minaccia posta dalla Russia.

Non ha mai supplicato l’Europa di difendersi, facendo invece appello alla comprensione per la preoccupazione di Putin che la Russia fosse aggressivamente accerchiata dall’Occidente”. Pensare che campanelli d’allarme non sono mancati, tutti nel segno del “lato oscuro” dei rapporti tra Mosca e Berlino. A cominciare dall’attacco hacker contro il Bundestag del 2015, che secondo la Germania fu di matrice russa. E poi il caso dell’omicidio di un ex miliziano georgiano in pieno giorno in un parco della capitale tedesca, anche questo ordito e realizzato – questa l’accusa degli inquirenti – dai servizi segreti russi, episodio che provoco’ una prima espulsioni di diplomatici russi dalla Germania.

Così come fu proprio il governo Merkel ad accusare senza mezzi termini il Cremlino per l’avvelenamento del dissidente Aleksei Navalny, portato nella capitale tedesca e curato dai medici dell’ospedale berlinese della Charitè. Un destino beffardo, quello dell’ex ‘ragazza dell’est’: cresciuta nella Ddr, ascesa alla politica sulle macerie ancora fumanti del Muro di Berlino, considerata per tanti anni l’unica capace di tenere testa a Vladimir Putin, con cui trattava direttamente in russo, fiera di tenere per anni il ritratto di Caterina la Grande sulla propria scrivania. E oggi costretta a vedere messa a rischio il suo posto nella storia a causa di una nuova “sindrome russa” a trent’anni dal crollo dell’Unione sovietica. 

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