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Con gli ultimi rincari al distributore siamo a un passo dal record storico raggiunto dalla benzina nell’ottobre del 1976, quando per un litro di Super (all’epoca non c’era quella senza piombo) si spendevano 500 lire, che equivalgono a 2 euro e 31 centesimi di oggi. Un prezzo che già si trova in giro per l’Italia. E si tratta di un aumento del 25 per cento rispetto a un mese fa e del 50 per cento in un anno. I rincari sono iniziati con la ripresa dopo le chiusure per la pandemia, ma la guerra in Ucraina ha accelerato la corsa.
Il peso delle tasse
Bisogna però ricordare che le quotazioni del petrolio non si riflettono immediatamente, e nella stessa misura, sul costo al distributore, dovuto solo in parte a quello della materia prima. Su un litro di verde intorno ai 2 euro, oltre la metà (il 55%) di quello che paghiamo sono tasse (il 51% sul diesel). Tra questi balzelli, oltre all’Imposta sui consumi – cioè l’Iva, che accresce gli incassi dello Stato quando sale il prezzo alla pompa – ci sono anche le famigerate accise, che valgono quasi 73 centesimi su un litro di benzina e che invece sono fisse. Ci sono anche nel resto d’Europa, ma solo nei Paesi Bassi sono più alte di quelle italiane. Per il diesel (poco meno di 62 cent al litro), invece, siamo primi in classifica.
Un taglio dal governo?
Dentro la voce accise si nasconde una lunga serie di tributi: dal finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935 fino a interventi più recenti, come quello sostanzioso del 2012 del governo Monti (anche all’epoca si superarono i 2 euro al litro). Ora è su questa, grossa, fetta del prezzo dei carburanti che cresce il pressing sul governo per abbassare i costi. Ma farlo significherebbe che l’Erario dovrebbe rinunciare a molti soldi, visto che con le accise incamera 25 miliardi all’anno.
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