Ven. Nov 22nd, 2024

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Ci risiamo: Dmitry Olegovich Rogozin, il capo dell’agenzia spaziale russa Roscomos, continua a minacciare disgrazie per la Stazione spaziale internazionale Iss che non stanno né in piedi né in terra. Minacce che si perdono nell’infinito dello spazio senza sfiorare i 400 chilometri di quota dell’orbita che da 22 anni è “abitata” dall’astronave che Samantha Cristoforetti ha ribattezzato “avamposto del’umanità” perché rappresenta il più affascinante e riuscito esempio di cooperazione internazionale a prova di crisi e sanzioni. L’astronauta trentina tornerà lassù il 15 aprile questa volando da Cape Canaveral.

Minacce che rimbalzano tra strumentalizzazioni, tweet vecchi e nuovi che si affastellano e anche effetti da “lost in translation” che sfondano il muro del ridicolo. Ecco l’ultimo lancio dell’Ansa:  La Russia afferma che le sanzioni potrebbero far chiudere la Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Lo afferma Dmitry Rogozin, il responsabile dell’agenzia spaziale russa Roscomos chiedendone la revoca. Secondo Rogozin, il funzionamento delle navicelle russe che riforniscono l’Iss sarà interrotto dalle sanzioni, interessando di conseguenza il segmento russo della stazione che serve, tra le altre cose, a correggere l’orbita della struttura orbitale. Di conseguenza ciò potrebbe causare l’ammaraggio o l’atterraggio della Iss.

Ecco adesso siamo anche all’ammaraggio o all’atterraggio dell’Iss, come se si potesse pilotare come un aereo, magari uno spazioplano tipo lo Shuttle, la struttura che stazza 500 tonnellate e vasta come un campo da rugby. L’Iss – lo sanno anche su Marte – in realtà può solo rallentare di volta in volta la caduta perenne verso la Terra che diventerà definitiva solo “a comando” e  al termine del suo ciclo “vitale” previsto per il 2030 con un tuffo nella zona Nemo, la più remota dell’Oceano Pacifico, già cimitero di altri velicoli spaziali. Di fatto il valore e l’importanza dei colossali investimenti per l’Iss (oltre 100 miliardi di dollari) di Usa, Russia, Europa, Canada e Giappone e le collaborazioni con le agenzie spaziali di mezzo mondo spengono subito le polveri alle minacce di Rogozin, 58 anni, che è anche vicepresidente russo e che evidentemente vuole fare sentire la sua vicinanza al leader Putin al di là di ogni  ragionevolezza. Lo strapagato ex ambasciatore russo alla Nato difende, insomma, il posto che gli è stato assegnato nel 2018.

Si è spinto, lui, il capo di Roscomos, a dire che l’Iss non causerebbe danni alla Russia in caso di caduta perché la stazione spaziale “non sorvola mai i territori di Mosca”, quando invece anche la più banale delle mappe delle traiettorie dell’orbita dell’Iss fa vedere il contrario: quasi il 3% del volo dell’Iss è sulla verticale di territori russi.

Per non dire del tweet con una clip da un cartone di Tom & Jerry postato sempre dal capo dei cosmonauti: finora gli accertamenti non lo hanno definito un fake account. In molti gli hanno fatto notare, peraltro, che Tom di solito non fa una bella fine nella lotta con Gerry.

Ancora meglio il “carteggio” di Rogozin con Scott Kelly, asso degli astronauti Usa, record di permanenza sull’Iss, e con SpaceX di Elon Musk.

Kelly, in breve, ha detto che le minacce di Rogozin non solo altro che rodomontate e che si sa benissimo che la collaborazione per la stazione spaziale andrà avanti perché l’interesse è reciproco, anzi, è soprattutto russo. Rogozin, in risposta, lo ha bloccato dopo avergli consigliato di farsi visitare “per le conseguenze dei suoi viaggi spaziali”. Intanto, posta ancora Kelly, la tv di stato russa trasmette il Lago dei Cigni invece di raccontare dell’invasione dell’Ucraina.

Kelly non è più dipendente Nasa e quindi può parlare liberamente, mentre la Nasa, saggiamente, non cade nella trappola delle dichiarazioni di Rogozin di cui conosce bene il modo di fare quando si tratta di gonfiare il petto e avanzare accuse assurde e infondate come quella rivolta agli astronauti Usa di avere danneggiato una navicella Soyuz, in realtà “lesionata” a terra da un tecnico di Roscomos. Da soap opera di serie Z anche la ricostruzione di una love story in orbita ipotizzata da Roscomos che sarebbe stata alla base di quel sabotaggio: nemmeno il più folle degli sceneggiatori potrebbe immaginare che un’astronauta danneggi, pur di tornare prima sulla Terra, la stessa navicella con cui viaggiare. E’ come se si scollegassero i freni dell’auto che ci si appresta a guidare. 

Inoltre l’agenzia spaziale russa ultimamente ha infilato una serie di gaffe cosmiche, con le sue navicelle, non più ricche monopoliste del viavai dall’Iss dopo l’entrata in servizio della CrewDragon di SpaceX, che hanno subito avarie tecniche che – quelle sì – hanno rischiato di mettere in pericolo l’Iss. Rogozin, in altre parole, attacca per non essere attaccato, solo le sue dichiarazioni non sono basate su elementi concreti mentre le arretratezze della sua agenzia sono sotto gli occhi di tutti.

I manici di scopa

Un’altra battuta a vuoto siderale di Rogozin è poi stata quella sui “manici di scopa” respinta al mittente direttamente dalla compagnia di Elon Musk che continua a mandare in orbita satelliti Starlink anche per aiutare l’Ucraina a resistere all’aggressione russa. “È ora di far volare il manico di scopa americano e ascoltare i suoni della libertà”, ha detto Julia Black, direttore di lancio di SpaceX. Chiaro il riferimento alle parole del capo dell’agenzia spaziale russa che  aveva annunciato lo stop alle forniture di motori per razzi agli Stati Uniti invitandoli a “volare sulle loro scope”.

La situazione

Detto che lo scenario dell’Iss fa storia a sé, mentre altre collaborazioni spaziali in corso e future sono effettivamente in bilico (dalla missione Exomars a guida Italiana, davvero a rischio, all’uso dei lanciatori di satelliti Soyuz e Proton sia da Bajkonur sia dallo spazioporto europeo nella Guyana francese che sono già stati bloccati), su che cosa sono basate le minacce di Rogozin? E’ questa la sua risposta al presidente Biden che ha annunciato effetti delle sanzioni anche sulle collaborazioni spaziali con Mosca? 

Attualmente l’Iss è abitata da due cosmonauti e cinque astronauti, uno dei quali europeo (in orbita, ma nel loro “palazzo celeste” cinese, ci sono anche tre taikonauti): ovvero Anton Shkaplerov, il comandante, e Pyotr Dubrov, poi Mark Vande Hei,  Keyla Barron, Thomas Marshburn, Raja Chari, americani, e Matthias Maurer, tedesco. E da lassù tutti i giorni mandano foto per far vedere che si continua a lavorare d’amore e d’accordo come è sempre avvenuto sulla stazione spaziale anche durante tutte le pesanti crisi internazionali del nuovo millennio.

Samantha Cristoforetti volerà il 15 aprile con una CrewDragon e nella seconda parte della sua missione di poco più di 5 mesi non diventerà più comandante di tutta l’Iss, come annunciato nei mesi scorsi, ma solo del modulo occidentale. Uno sgarbo di Roscomos? Macché, questa modifica – causata da un cambio non inedito del calendario delle missioni di lunga durata – era già nota da ben prima dell’invasione russa e l’improvvido ritardo nel comunicarlo ha finito per innescare confusione.  

Quindi per la Nasa prosegue la collaborazione con la Russia e la responsabile della divisione di Operazioni umane nei voli spaziali della Nasa, Kathy Lueders, ha confermato il programma di avvicendamento degli equipaggi a bordo della stazione. In questi giorni Rogozin aveva anche fatto capire era inforse il rientro a Terra dell’astronauta americano Mark Vande Hei con una capsula russa Soyuz, previsto il 30 marzo, ma anche questa notizia è stata smentita. Il 18 marzo è quindi previsto l’arrivo di una Soyuz con tre cosmonauti mentre il 30 marzo è in programma il rientro a Terra di due russi e dell’americano Vande Hei, che con 355 giorni in orbita raggiungerà il record di permanenza americano.      

Poco dopo la Iss dovrà ospitare per qualche giorno anche il primo equipaggio Axiom, l’azienda che sta anche realizzando la futura stazione spaziale privata, e il 15 aprile è previsto l’arrivo della Crew-4 di SpaceX con Samantha Cristoforetti, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) alle prese con la missione Minerva.

E allora le minacce di Rogozin sul rischio che l’Iss precipiti? La stazione spaziale di fatto è in caduta continua e resta in orbita perché sfrecciando a 28.800 chilometri orari contrasta la forza di gravità: di tanto in tanto, però, per recuperare il “degrado” dell’orbita, è necessario aggiustare la traiettoria utilizzando i motori delle navicelle (che siano quelle per gli equipaggi o quelle “cargo”). Navicelle russe come le Soyuz, ma nulla vieta che d’ora in poi si usino i motori delle Dragon o delle altre “cargo” di Nasa e altre compagnie private americane. Il funesto vaticinio di Rogozin, come lui sa bene, non ha quindi alcuna forza. 

La collaborazione russa potrebbe tuttavia accorciare la vita operativa dell’Iss di recente prorogata al 2030, data che ha preso il postto dell’iniziale 2020 e quindi 2024? Forse, ma al momento, in attesa di capire che ne sarà della crisi ucraina, non è possibile fare previsioni. In ogni caso il rientro controllato dell’Iss fino alla caduta nell’oceano Pacifico è pianificato fin dalla sua costruzione. Con o senza Rogozin alla finestra.   

Paolo Ricci Bitti



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