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I cittadini guardano a un eventuale aggressione dalla Bielorussia: «Ma loro non ci odiano così tanto». A protezione della città ci sono 500 checkpoint
dalla nostra inviata
LEOPOLI — «No, qui non può capitare». Fino a cinque giorni fa era la bolla, l’hub degli aiuti, della resistenza, retrovia alle porte della Polonia, dove chi arrivava finalmente era al sicuro. Negozi aperti, di nuovo. E bancomat in funzione. Da due giorni Leopoli, il bastione Ovest, dell’Ucraina non dorme più sonni tranquilli. Due attacchi, uno contro l’aeroporto militare di Lutsk e l’altro a Ivano-Frankivsk dove ha sede l’aeroporto internazionale più importante della regione, all’alba di venerdì. Poi all’alba di sabato un’allerta aerea durata più di due ore. La più lunga dall’inizio della guerra. Mentre cresce la paura che lo Zar voglia tagliare la via dei rifornimenti verso Est che da qui transita. Andriy guarda verso il cielo. Poi lo sguardo si posa verso le statue di piazza Rynok, che tutto il mondo ha immortalato, ricoperte dai teli ignifughi e ora circondate da sbarre di ferro. «Il nostro patrimonio storico e culturale è protetto dall’Unesco. Putin è pazzo ma non lo farà. Nemmeno Hitler ha osato tanto».
Vicini ai Paesi Nato
Ma non è solo l’arte a fare da scudo. A 75 chilometri verso ovest, il confine con la Polonia, bombardare qui come a Est equivarrebbe davvero dichiarare guerra alla Nato. Inoltre, fin dai primi giorni dell’invasione a oggi, il sistema anti-missilistico ucraino ha intercettato più che altro missili bielorussi provenienti da nord. Un’invasione con i militari di Minsk non pare probabile. Il dittatore Alexander Lukashenko è fedele a Putin sì. «Ma i bielorussi non ci odiano così tanto», dicono in città. Vicino al centro si sono stabilite le ambasciate dei Paesi che hanno deciso di rimanere. In testa, Italia e Francia. Si riorganizzano le sedi, i rapporti, si cerca di mettere in salvo quante più persone possibili. Supportare in tutti i modi la macchina degli aiuti, è la priorità ora. E sostenere Kiev ora è quanto mai importante per Roma e Parigi. Per questo si lavora senza sosta. Anche gli staff delle agenzie delle Nazioni Unite si stanno sistemando in città. «C’è una delle peggiori catastrofi umanitarie in atto, restare nel Paese è fondamentale», dice un funzionario. La prudenza però è ancora tanta. «Rimaniamo solo finché ci sono le condizioni», ripetono tutti mentre la voce si abbassa quasi per paura di infrangere un delicato cristallo. Pochi metri lontano, un gruppo di bambini gioca in mezzo ai sacchi di sabbia di un rifugio anti aereo. È il weekend, le scuole sono ancora chiuse ufficialmente, la speranza era di riaprile domani, ma chissà. «Ridurremo il numero di checkpoint da 500 a 100», aveva promesso nei giorni scorsi Ivan Sobko, vice dell’amministrazione militare della regione.
Le difese
Ma mantenere la città fortificata è quanto mai necessario, mentre a Kiev l’assedio è sempre più stretto, la diplomazia fatica a procedere e anche sul fronte Sud, verso Odessa e Mykolaiv, aumenta la pressione. A guardia di Leopoli restano i cavalli di Frisia, allora. In vigore coprifuoco e legge marziale. Nessuno è al sicuro. Le mimetiche di militari e miliziani si mischiano allo struscio delle eleganti vie del centro. La fila al negozio di fucili e carabine è ormai di ore. Le armi sono ovunque. In ogni magazzino si scaricano scatoloni di cibo, vestiti e medicine da mandare al fronte. «Forse non ci sarà una guerra, ma la guerra civile di sicuro». Sui muri e sui cartelloni gli slogan nazionalisti hanno ormai del tutto sostituito le locandine pubblicitarie. Addio Leopoli, città museo, dove i turisti arrivavano con Ryanair per il weekend. Ora è Lviv, il bastione della resistenza. Il campo sfollati che sta dando ospitalità a 200 mila persone. E da cui sono transitati verso la Polonia, 1 milione e 575 mila persone. «Arrendersi non è un’opzione».
La presenza del governo
In città fanno apparizione gli uomini del presidente. Anche la viceministra degli Interni è stata avvistata in città. Lviv nuova capitale? Un gruppo di 78 imprenditori ha chiesto alle autorità locali di trasferire fabbriche e attività nella regione. «Stiamo cercando di individuare hub e sedi possibili», fanno sapere ancora dal palazzo del governatore. E Zelensky? Il presidente appare da tre settimane in video, in mimetica. È a Kiev. Al suo posto. Il cerchio intorno a lui e alla città però sempre più stretto. E poi? «E poi sarà il nostro turno. Ma li aspettiamo qui».
12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 22:39)
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