Sab. Nov 23rd, 2024

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Entro la fine dell’anno accademico in corso circa 200 scuole pubbliche e istituti educativi di Tokyo elimineranno alcune regole molto rigide che riguardano l’abbigliamento o l’acconciatura degli studenti, come l’obbligo di avere capelli lisci e neri e quello di indossare biancheria intima di un certo colore.

Sono regole diffuse in molte scuole del Giappone, e non solo a Tokyo, di cui si discute da anni perché giudicate anacronistiche e discriminatorie. Come molti aspetti della società giapponese, storicamente molto chiusa in se stessa ed estremamente attenta al rispetto delle usanze più arcaiche, anche le norme sull’abbigliamento a scuola non sono disciplinate in forma scritta, ma dall’abitudine e dalla tradizione.

Queste regole ci sono sempre state, anche se sono state applicate con sempre più frequenza solo tra gli anni Settanta e Ottanta: fu da parte dei dirigenti scolastici un modo per reprimere la liberalizzazione dei costumi che si stava diffondendo tra i giovani giapponesi così come tra i giovani di tutto il mondo. Solo negli ultimi anni sono diventate però una questione al centro del dibattito pubblico. Chi le critica le definisce burakku kousoku (che si può tradurre con “regole ingiuste/irragionevoli”).

Secondo molti educatori, oggi queste regole sono antiquate, oppressive e rischiano anche di favorire le discriminazioni sessuali e etniche. Una di quelle che verranno eliminate nella maggior parte delle scuole di Tokyo richiede agli studenti e alle studentesse che hanno capelli naturali mossi o non neri di tingerli o di fornire prove che quella sia la loro capigliatura naturale, visto che di norma è richiesto che a scuola abbiano capelli neri e lisci. Un’altra riguarda il divieto di avere i capelli rasati sulla nuca e più lunghi sopra, un’acconciatura che nell’Asia orientale si è molto diffusa grazie al fenomeno musicale del K-pop.

Un’altra ancora è quella che prevede di indossare biancheria intima bianca o di colori che non si possano distinguere facilmente guardando le divise. Secondo un’indagine dell’ordine degli Avvocati della prefettura di Fukuoka, è una regola in vigore in circa l’80 per cento delle scuole medie del Giappone; e come ha detto alla tv nazionale NHK uno studente della prefettura di Nagasaki, gli insegnanti controllano regolarmente il colore della biancheria mentre i ragazzi si cambiano per prepararsi alle ore di educazione fisica.

La decisione di cambiare le cose è stata presa dopo molte discussioni tra gli studenti e gli insegnanti degli istituti di Tokyo. Nell’aprile del 2021 l’organo amministrativo che si occupa di Istruzione a Tokyo aveva chiesto a 240 scuole dell’area metropolitana se certe regole in vigore fossero antiquate oppure non necessarie: 216 di queste avevano risposto che era il caso di rivederle oppure toglierle del tutto.

– Leggi anche: In Giappone è difficile perdere qualcosa

A giugno le scuole pubbliche nella prefettura di Mie (a est di Kyoto) avevano eliminato varie regole considerate troppo rigide e obsolete, tra cui il divieto di darsi appuntamenti tra studenti. Altre, in particolare quelle relative ai capelli, erano state criticate perché potenzialmente discriminatorie nei confronti di chi non ha i tratti tipici delle persone giapponesi.

Della regola dei capelli si era occupato anche un tribunale giapponese.

Nel 2017 una studentessa di Osaka con i capelli castani scuri fece causa alla propria scuola superiore perché le era stato ripetutamente detto di tingersi i capelli di nero per non rischiare di essere espulsa; oltretutto, secondo tre diversi insegnanti che avevano esaminato i bulbi dei suoi capelli, lei in realtà aveva i capelli neri ma li tingeva deliberatamente di castano.

A causa delle crescenti pressioni lei smise di frequentare le lezioni: il suo banco fu tolto dall’aula e il suo nome venne eliminato dal registro di classe. Pur sostenendo che la scuola non l’aveva effettivamente obbligata a tingersi i capelli, all’inizio del 2021 un tribunale di Osaka decise che togliere la ragazza dal registro degli studenti era stato un provvedimento insensato, e ordinò alla scuola di pagarle l’equivalente di circa 2.500 euro a titolo di risarcimento.

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