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L’avvertimento degli Usa alla Cina per cui un aiuto alla Russia avrebbe “implicazioni” ha avuto come immediata conseguenza il crollo delle Borse cinesi e influenzato le altre asiatiche. Il timore è che anche Pechino, che si dice “impegnata per la pace”, e le sue aziende possano diventare obiettivo di sanzioni da parte di Stati Uniti ed Europa, a causa dei legami tra Cina e Russia. Hong Kong ieri era piombata ai minimi da sei anni e ha segnato fino a -6,5% chiudendo poi a -5,72%, l’indice Composite di Shanghai ha chiuso a -4,95%, a 3.063,97 punti, mentre quello di Shenzhen ha ceduto il 4,56%, a quota 2.013,37. A pesare sui listini anche la ripresa in alcune aree dell’epidemia di Covid che ha spinto Pechino a mettere in lockdown Shenzhen e la provincia di Jilin.
Il clima di sfiducia che circonda la Cina non è stato neppure scalfito dai buoni dati arrivati da Pechino su investimenti, vendite al dettaglio e produzione industriale. Meno agitata la seduta per gli altri listini dell’area con Tokyo che ha chiuso appena sopra la parità. La Borsa giapponese ha terminato la seduta all’insegna della cautela, in attesa della riunione della Federal Reserve Usa, prevista quest’oggi, mentre vanno avanti senza esito gli incontri diplomatici di alto livello per un possibile accordo su una tregua nel conflitto in Ucraina. L’ultimo ieri a Roma proprio tra Cina e Usa. L’indice di riferimento Nikkei segna una variazione appena positiva dello 0,15%, a quota 25.346,48, con un guadagno di 58 punti. Sul fronte valutario prosegue la fase di indebolimento dello yen sul dollaro, attualmente ai massimi in 5 anni, a un valore di 118,30, e a un livello di 129,50 sull’euro. Seul e Sydney hanno limitato i cali, rispettivamente, allo 0,9% e allo 0,7%.
Avvio in calo per le principali Borse europee, che scontano le tensioni legate alla guerra in Ucraina, l’attesa stretta monetaria da parte della Fed domani e la recrudescenza dell’epidemia di Covid 19 in Cina. Negativi i future sull’Europa e Wall Street, con i mercati che scontano, oltre ai timori per il conflitto in Ucraina, la preoccupazione per la stretta monetaria della Fed, che mercoledì dovrebbe annunciare un rialzo dei tassi nel tentativo di contenere un’inflazione che a febbraio è arrivata a toccare il 7,9%. La paura che i lockdown in Cina possano impattare sulla domanda del più grande importatore al mondo di petrolio hanno fatto scivolare il greggio sotto quota 100 dollari al barile (-5,8% a 97 dollari il wti e -5,8% a 100,7 dollari il brent), calo che incorpora anche le flebili speranze di progressi nei negoziati per un cessate il fuoco in Ucraina. Non si salva dal clima di sfiducia neppure l’oro (-1,4% a 1.933 dollari l’oncia) mentre il rendimento dei treasury americani è in lieve calo al 2,11%.
Il prezzo del petrolio è appunto in calo questa mattina sui mercati delle materie prime. Il barile di greggio Wti con consegna ad aprile è scambiato a 97,35 dollari con un calo del 5,49%. Il Brent con consegna a maggio passa di mano a 100,88 dollari con un calo del 5,63%.
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