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Il cantautore e il nuovo album: «Dopo le mie idee sulla pandemia, i colleghi mi danno ragione scrivendomi in privato, nessuno però lo fa in pubblico»
Enrico Ruggeri ha perso il ritmo. Colpa della pandemia che ha interrotto la sua abitudine di pubblicare un disco all’anno. Il nuovo «La rivoluzione», esce venerdì 18, arriva a tre anni dal precedente. «È come se fosse il best of dei tre album che avrei fatto in questi anni. A causa della pandemia non era mai il momento giusto e allora continuavamo a lavorare in studio, a fare e rifare andando alla ricerca del Santo Graal di ogni musicista, ovvero il suono». A guidare Rouge e i collaboratori il «decalogo della buona musica», serie di regole da lui stesso dettate che sostanzialmente bandiscono l’uso di trucchetti e diavolerie elettroniche per mascherare carenze tecniche, vocali o musicali. «Abbiamo suonato tutto, senza plug-in dal computer e senza autotune sulla voce», commenta con orgoglio.
Non vuole passare per il boomer della canzone italiana: «Faccio dischi da più di 40 anni, anagraficamente ne ho 64, ma a un giovane direi di sentire il primo dei Led Zeppelin e dirmi se è vecchio». La pandemia non solo gli ha interrotto la sequenza quasi perfetta, ma lo ha ostacolato anche in altro modo. Ruggeri è convinto di aver pagato le sue opinioni contro mascherine e green pass che hanno scatenato bufere sui social. «Se non avessi preso certe posizioni avrei un’altra situazione economica. Ho un record di messaggi privati di colleghi che mi danno ragione, ma nessuno lo ha fatto in pubblico. Oggi se hai un’idea te la fanno pagare cara. Nel 2019-20 ho fatto sette serate su Rai1 con una produzione che costava meno di tante altre che hanno avuto ascolti più bassi. Mi aspettavo di essere richiamato». «La mia libertà», brano che chiude il lavoro, riassume il suo pensiero attraverso la lettera di un personaggio che di fronte a «censure preventive» e «riflessi pavloviani» sceglie di non parlare più: «È la mia lettera di Jacopo Ortis, ma non ho intenzione di togliermi la vita. E nemmeno di ritirarmi dai social: è uno sfogo».
La title track è il baricentro del disco: «Racconta il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con uno sguardo affettuoso alla mia generazione. Per la copertina stavamo pensando a qualcosa in stile realismo sovietico, ma visto che non parlo di barricate, ma di quelle persone, ho messo la foto di classe di quando ero al liceo Berchet». Una frase di «Non sparate sul cantante» — «se un uomo con una pistola/ incontra chi tiene un fucile/ il primo può solo pregare/ e prepararsi a morire» — può essere letta come metafora della guerra fra Russia e Ucraina. Anche qui la presa di posizione non è comune: «È una frase presa da Sergio Leone, come molte altre nel brano. Lui è una passione di mio figlio Federico Ugo. Il cantante medio qui direbbe: sono contro la guerra, viva la pace. Io nella vicenda non vedo solo buoni e cattivi, qualsiasi atteggiamento aggressivo è scellerato».
La nazionale Cantanti di cui è presidente e capitano è finita nella bufera per le frasi sessiste di due dirigenti a un raduno pre Partita del Cuore. Eros Ramazzotti, Ermal Meta, Andro dei Negramaro e altri decisero di non scendere in campo: «Finiti i commento social siamo tornati a parlare di progetti e non di dischi in uscita… Assieme a Progetto Arca abbiamo ristrutturato degli appartamenti per homeless a Milano e portato aiuti in Ucraina. Chi se ne è andato sta dall’altra parte».
15 marzo 2022 (modifica il 15 marzo 2022 | 20:16)
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