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Ha fatto molto discutere la circolare dello Stato Maggiore dell’Esercito che dispone uno stato di pre-allerta dei militari italiani in correlazione al conflitto in Ucraina. La ratio del dispositivo è chiara: la guerra è arrivata in Europa, ed è del tutto logico che i vertici delle Forze Armate si mettano in allerta e diano disposizioni simili. Peccato che l’efficienza auspicata nel documento che parla di “warfighting“, “prontezza”, ed efficienza sia solo sulla carta, perché tutte e tre le forze che compongono la Difesa italiana versano da anni in uno stato di carenza di risorse, mezzi e uomini tale da inficiare la capacità di deterrenza e protezione.
Basti pensare che abbiamo abbiamo 125 carri armati, meno della metà sono operativi: non fanno neppure una delle cento colonne corazzate scatenate da Putin contro l’Ucraina. Tra questi, i cingolati “Dardo” della fanteria pesante dell’Esercito: come indica la sigla VCC-80, dovevano entrare in servizio negli anni ’80, ma arrivarono ai reparti nel 2004 che erano già vecchi di vent’anni. Ecco, basta questo flash per capire come è messa la nostra Difesa e quanto sia poi “velleitaria” la parte della circolare che dispone sistemi d’arma “orientati alla massima efficienza“.
Nel dubbio, basta andarsi a rileggere le audizioni in commissione Difesa delle Camere dei capi di Stato maggiore degli ultimi anni. Prendiamo quella di novembre 2020 del generale Enzo Vecciarelli, insieme profetica per quanto disarmante: da un lato ammoniva che “la prossima crisi potrebbe non essere una pandemia”, facendo riferimento a quanto accadeva nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa, dall’altra dava conto degli effetti dei tagli di spesa nel comparto, tali da intaccare la capacità operativa delle Forze Armate. Sono passati due anni ma nulla è cambiato. Giusto ieri, il generale Luca Goretti in commissione Difesa ha chiarito che “basterebbe un niente per trovarci in guerra” e ribadito la richiesta di maggiori investimenti, precisando che le riduzioni degli anni passati sono state anche dettate “dall’erronea convinzione che un maggior livello tecnologico possa compensare una sempre minore quantità”. Ecco la drastica riduzione di velivoli: in 20 anni siamo passati da 842 aerei a 500, meno di 300 hanno funzioni di combattimento.
Goretti ha parlato anche di droni, quelli che in Ucraina tanto supporto stanno dando alla resistenza: “Mi sono posto una domanda sull’opportunità di riavviare il processo autorizzativo volto ad armarli, in modo da dotarli finalmente di una componente di ingaggio al suolo”. Ha poi precisato: “Questa capacità potrà essere impiegata per ridurre il rischio di perdita di vite umane, non vogliamo utilizzarli ma averli significa avere questa capacità, mentre non averli e dover essere costretti ad impiegarli significa che non è detto che li troveremo poi sul mercato”.
L’allarme sulle nostre capacità di difesa è supportato da molti altri numeri. Parliamo di uomini. La famosa circolare dello SME cerca di razionalizzarne impiego e addestramento, limitando le domande di congedo anticipato, garantendo che gli “specialisti” siano sempre disponibili, e che siano garantite le unità “in prontezza”, vale a dire le brigate pronte a intervenire così come tutto il personale “ready to move”, cioè pronto all’azione. Consegne imperative che testimoniano la gravità del momento. Ma su quali forze di intervento può contare davvero l’Esercito? Sulla carta ha 95.511 militari, ma nel 2020 solo il 20% ha preso parte ad esercitazioni belliche. Un altro 20% circa, pari a 19.389 militari, è stato impiegato in compiti per missioni all’estero (3.393) o per operazioni come “strade sicure” (7.803), avviata nel 2008 per contrastare la criminalità: doveva durare sei mesi, di rinnovo in rinnovo si protrae ininterrottamente da 14 anni, limitando risorse e tempo per l’addestramento della capacità a operare in contesti bellici.
Parliamo di navi? La Marina, lo sottolinea l’ex capo di Stato Maggiore Giuseppe De Giorgi, è forse la forza messa peggio di tutte. In sostanza abbiamo due portaerei (Garibaldi e Cavour, la Trieste è ancora lontana dal varo). Così pochi uomini da garantirne a malapena il funzionamento. Il Cavour è operativo per i famosi F35, ma Marina e Aeronautica ne dispongono in numero irrisorio che non esprime la quantità critica per garantire una difesa. Ne arriveranno altri (30 è la cifra auspicata) ma solo tra 6/7 anni si parlerà di vera operatività.
Il conflitto scatenato dalla Russia alle porte dell’Europa ha costretto governo e Parlamento a considerare più seriamente gli appelli dei generali. Il 1 marzo è passato col decreto Ucraina un ordine del giorno che inverte la rotta, impegnando il governo ad alzare la spesa militare verso il traguardo del 2% del Pil, da tempo indicato dai vertici della Difesa come obiettivo minimo per garantire l’efficienza del sistema. In soldoni, stando all’Osservatorio Milex sulla spesa in armi, significa passare da 25 miliardi attuali a 38, vale a dire 104 milioni al giorno.
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