Ven. Nov 15th, 2024

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Si chiama Alexei Vladimorovic Paramonov ed è stato console a Milano l’uomo che ha minacciato l’Italia di «conseguenze irreversibili» se il nostro paese aderirà al nuovo piano di sanzioni contro la Russia. «Ci aspettiamo che a Roma, come in altre capitali europee, tornino comunque in sé, ricordino gli interessi profondi dei loro popoli, le costanti pacifiche e rispettose delle loro aspirazioni di politica estera», ha detto Paramonov senza però spiegare precisamente quali siano le conseguenze minacciate. Ma collegando i puntini delle dichiarazioni di questi giorni si riesce a ricostruire buona parte della storia.

Paramonov e la missione russa in Italia per il Coronavirus

Paramonov ha definito in un’intervista all’agenzia Ria Novosti il ministro della Difesa Lorenzo Guerini «uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano». E poi ha collegato in maniera piuttosto sibillina il sostegno della Russia all’Italia all’inizio della pandemia di Covid-19: «In accordo con l’intesa raggiunta a livello di Presidente della Russia e Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia nel marzo-aprile 2020, all’Italia è stata fornita un’assistenza significativa attraverso il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Industria e Commercio e Ministero della Salute della Russia. A proposito, una richiesta di assistenza alla parte russa fu inviata allora anche dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, che oggi è uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano».

E, spiega oggi il Corriere della Sera, il punto è proprio quello che è accaduto il 22 marzo del 2020. Ovvero quando all’aeroporto di Pratica di Mare sono atterrati tredici quadrireattori Ilyushin decollati da Mosca. Ad attenderli c’è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l’accordo per la missione era stato preso con una telefonata tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin. Qui subito qualcosa non torna. Ci sono solo 28 tra medici e infermieri nella lista di 104 nomi che arrivano dalla Russia. Li guida un generale: Sergey Kikot. Con lui ci sono Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi lavorano al Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 ha affidato la supervisione del contrasto all’epidemia.

La visita dei russi e Guerini

La storia si ingarbuglia successivamente. Perché l’Italia permette ai russi l’accesso agli ospedali e qualche mese dopo il New Yorker rivela che il Dna di un cittadino russo che si era ammalato in Italia è stato usato per elaborare il vaccino Sputnik. Questo, secondo il quotidiano, è la dimostrazione che la delegazione russa ha avuto accesso a dati e strutture sanitarie in Italia. Ma c’è di più. Perché l’onorevole del Partito Democratico Enrico Borghi, responsabile esteri del partito e vicino al ministro Guerini, racconta oggi in un’intervista a Repubblica un’altra storia. «Mosca non perdona a Guerini di avere agito per mettere in assoluta sicurezza le nostre infrastrutture strategiche quando nel marzo del 2020 un contingente militare russo venne in Italia per l’emergenza Covid», esordisce Borghi.

Secondo Borghi «i russi hanno interpretato la loro attività degli ultimi dieci anni immaginando che l’Italia fosse il ventre molle dell’Europa. Almeno dalla crisi del debito sovrano in poi. Probabilmente certe reazioni stizzite tradiscono il fatto che quello che credevano un “investimento” non ha ritorni». E quindi le minacce dei russi «sono frutto di propaganda per oscurare il dato di realtà che il blitzkrieg è fallito. E la Russia si sta impantanando nelle steppe ucraine. Mosca non perdona poi al ministro Guerini di avere operato per mettere in assoluta sicurezza le nostre infrastrutture strategiche – porti, centrali, arsenali – quando a marzo 2020 un contingente militare russo venne in Italia per l’emergenza Covid».

L’onorificenza per Paramonov

Intanto si discute anche di togliere le due onorificenze ricevute da Paramonov nel 2018 e nel 2020. Ovvero Cavaliere all’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia. Nelle mani della Farnesina però c’è solo la possibilità di presentare al Quirinale la richiesta di annullare la nomina che riguarda l’Ordine della Stella. Che si assegna a «quanti abbiano acquisito particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione» con l’Italia; per quanto riguarda quella a Cavaliere al Merito della Repubblica, spiega l’agenzia di stampa Ansa, la palla è nelle mani della presidenza del Consiglio. In entrambi i casi infatti le onorificenze le concede il presidente della Repubblica ma su proposta in un caso del ministro degli Esteri e nel secondo del premier. Che all’epoca era Conte.

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