Mer. Nov 27th, 2024

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Per la seconda volta in cinque giorni la commissione Finanze della Camera ha respinto due emendamenti che avrebbero in parte soppresso la riforma del catasto inserita dal governo nella legge delega, che prevede un più ampio intervento per riorganizzare il fisco italiano. I partiti della maggioranza non sono infatti per niente d’accordo su come debba essere cambiato il catasto, cioè l’archivio di tutte le proprietà immobiliari sul territorio italiano, che non viene rinnovato da decenni nonostante le trasformazioni del mercato immobiliare.

Sia giovedì 3 marzo, sia martedì 8, gli emendamenti presentati contro la riforma sono stati respinti con un solo voto di scarto: 22 favorevoli, 23 contrari. In entrambi i casi è stato decisivo il voto di Alessandro Colucci, deputato di Noi con L’Italia, un gruppo di centro che fa riferimento all’ex ministro Maurizio Lupi. Si è discusso molto degli ultimi due voti perché, come dimostrano i numeri, la proposta di riforma ha rischiato una bocciatura che avrebbe avuto pesanti conseguenze politiche: Forza Italia e Lega, che sostengono il governo guidato da Mario Draghi, hanno votato a favore degli emendamenti, quindi contro il governo.

I due partiti di centrodestra sostengono che la riforma del catasto sia in realtà un modo per aumentare le tasse e in particolare per introdurre una patrimoniale, cioè un’imposta sul patrimonio personale che graverebbe maggiormente sulle persone più ricche. «Nessuno in Italia pagherà più tasse per la riforma del catasto» ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi lunedì a Bruxelles, dove aveva incontrato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per discutere dell’invasione russa in Ucraina. Le rassicurazioni di Draghi e di alcuni ministri non sono state per il momento sufficienti a convincere la Lega e Forza Italia.

Il catasto è un archivio delle proprietà immobiliari, l’inventario dei beni immobili italiani. Si divide in catasto dei terreni, in cui sono censite le aree dove non è stato costruito, e il catasto fabbricati, che comprende case, condomini, capannoni e qualsiasi tipo di costruzione. Il catasto contiene una serie di informazioni tra cui la precisa localizzazione geografica, l’estensione, ma anche la destinazione d’uso, cioè la funzione dell’edificio, e i relativi redditi. L’archivio, in sostanza, serve a censire le proprietà immobiliari e a stabilire quante tasse legate al possesso di una o più proprietà debba pagare una persona o un’impresa. Per questo la custodia delle banche dati del catasto e la loro gestione sono affidate all’Agenzia delle Entrate.

Chiunque possieda una casa o un immobile può conoscere le informazioni importanti relative alla sua proprietà attraverso una visura catastale. I dati che identificano ogni proprietà si trovano in una sorta di grande mappa dell’Italia divisa in regioni e via via scendendo di livello in province e comuni, a loro volta divisi in fogli, cioè porzioni di territorio comunale. Ogni foglio è suddiviso in mappali, chiamati anche particelle, che sono contrassegnati da un numero e che servono a identificare una porzione di terreno oppure un edificio, che sia una casa o un capannone.

(LaPresse/Mourad Balti)

Nella visura catastale si trovano informazioni sul comune di riferimento e numeri o codici che identificano il foglio, il mappale e i subalterni, cioè i singoli pezzetti che compongono la proprietà. In una casa, infatti, ci possono essere diversi subalterni: la stessa abitazione, il giardino e il garage. Nel caso dei condomini, per esempio, ogni appartamento costituisce un subalterno.

Nella visura catastale si trova anche la categoria catastale, un modo per classificare gli immobili sulla base della destinazione d’uso. Le categorie catastali sono distinte in sei gruppi identificati con le lettere da A a F, a loro volta suddivise in sottogruppi. La categoria A riunisce diversi tipi di abitazioni simili: la A/1 identifica le abitazioni di tipo signorile, la A/2 le abitazioni civili, la A/3 le abitazioni di tipo economico e così via. C’è poi la classe catastale, un’ulteriore classificazione che distingue gli immobili in base al livello delle finiture, della dotazione dei servizi, dell’ampiezza e della posizione.

Uno dei dati più importanti contenuti nella visura catastale è la rendita catastale, che è il reddito che l’Agenzia delle Entrate attribuisce a ogni singolo immobile, fabbricato o terreno. La rendita catastale dovrebbe corrispondere a un canone di locazione annuale che chi possiede un immobile potrebbe ricevere qualora decidesse di metterlo in affitto. È anche indispensabile per calcolare il valore catastale di un immobile, cioè la base da cui calcolare le diverse tasse legate alle proprietà immobiliari, come l’Imu e la Tasi, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, le imposte ipotecarie, quelle sulle successioni, le imposte sulle donazioni e i dati necessari alla compilazione del modello ISEE.

La rendita catastale si ottiene moltiplicando l’estensione della proprietà per un altro indicatore importante: gli estimi catastali, tariffe elaborate dall’Agenzia delle Entrate che variano da comune a comune e che tengono conto della categoria e della classe di un immobile.

Come si può notare, il sistema che regola il catasto è piuttosto complicato. Tra le altre cose, è anche datato: nonostante le parziali modifiche introdotte negli ultimi decenni, l’organizzazione generale risale alla legge 1249 del 1939. Diversi governi hanno provato a modificare il catasto – nel 1993, nel 1995, nel 1996, nel 1998 e infine nel 2014 –, ma i tentativi sono stati tutti parziali oppure fallimentari.

La necessità di rendere più attuale il sistema è stata sottolineata, tra gli altri, anche dalla commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria che a febbraio 2020 aveva rilevato «l’obsolescenza del sistema estimativo catastale, fondato su una base normativa, mai sostanzialmente modificata, risalente al 1939, costruita in un contesto assai differente dall’attuale, e su una revisione generale degli estimi del catasto edilizio urbano risalente al periodo 1988-1989».

Nel documento pubblicato al termine della sua indagine, la commissione suggerì la creazione di un “cassetto” per contenere i dati relativi a ogni singolo immobile per garantire la «necessità di semplificazione nei confronti dei cittadini e delle imprese e l’esigenza di assicurare equità nella contribuzione patrimoniale». La semplificazione e l’equità sono i due principi a cui è ispirata la riforma del catasto di cui si discute oggi.

Gli obiettivi della riforma sono stati ben sintetizzati da un lungo intervento del ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta pubblicato dal Foglio: attualizzare un catasto vecchio di 83 anni; realizzare la mappatura degli immobili, che non servirebbe per aumentare le tasse ma per capire lo stato del patrimonio immobiliare; individuare le “case fantasma” (cioè non accatastate) ovvero quelle per le quali i proprietari non pagano alcuna tassa, consentendo di avere un fisco più equo e trasparente; combattere l’evasione di gettito che deriva dalle migliaia di immobili e terreni abusivi nonché dai terreni agricoli su cui si è edificato; impedire un aumento di imposte o tributi a carico dei cittadini che invece sono in regola.

(Arthur Yeti/Unsplash)

Per come è strutturato, il catasto potrebbe sembrare un sistema infallibile: in realtà, proprio perché l’organizzazione e le regole sono immutate da decenni, all’Agenzia delle Entrate sfuggono tantissime informazioni.

Secondo l’ultima edizione di Gli immobili in Italia, un’indagine curata dal ministero dell’Economia e dall’Agenzia delle Entrate, in Italia ci sono 64,4 milioni di immobili, di cui 57,1 milioni di proprietà di persone fisiche. Le case sono 34,9 milioni, di cui 32,2 milioni di proprietà di persone fisiche. Le cosiddette prime case sono 19,5 milioni.

Una delle discrepanze più evidenti riguarda il confronto tra gli immobili dichiarati dai contribuenti e il numero di prime case stimate utilizzando le principali indagini campionarie: secondo le dichiarazioni, gli immobili dovrebbero essere 2 milioni in meno. Una quota consistente di questa differenza deriva dal fatto che molti coniugi risiedono nella stessa casa, anche se formalmente hanno la residenza in due case diverse per avere vantaggi fiscali dall’esenzione delle tasse sulla prima casa. La differenza si spiega anche con gli affitti non regolarmente registrati.

Un altro problema rilevante è legato all’abusivismo. Secondo il rapporto “Statistiche catastali del 2020” dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, le attività di fotoidentificazione hanno fatto emergere 1,2 milioni di unità immobiliari non censite nel catasto. Una recente indagine dell’ISTAT stima che nel 2020 il fenomeno dell’abusivismo edilizio si sia tradotto in 17,7 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate, con una significativa differenza geografica: al nord il 6,1 per cento, al centro il 17,8 per cento a al sud il 45,6 per cento.

L’articolo 6 della riforma catastale interviene proprio sulla mappatura e sui sistemi per risolvere le inefficienze attuali. Il comma 1 indica i principi sulla base dei quali dovranno essere migliorati i sistemi di individuazione e controllo dei fabbricati. L’obiettivo è far emergere gli immobili abusivi, quelli attualmente non censiti oppure censiti male, con categoria catastale sbagliata, e i terreni edificabili accatastati come agricoli. Per raggiungere questo obiettivo, dice la riforma, serve una più efficiente condivisione dei dati tra i comuni e l’Agenzia delle Entrate.

Il comma 2 è il più delicato perché affronta il tema delle rendite catastali. Prevede che dal primo gennaio 2026 vengano integrate le informazioni presenti nel catasto «attribuendo all’unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita attualizzata sulla base dei valori di mercato». Al momento, infatti, la rendita catastale non corrisponde al valore di mercato e questa discrepanza genera iniquità fiscale: in pratica, le tasse sugli immobili non sono calcolate sulla base dei redditi che realmente quegli immobili possono fruttare con gli affitti di oggi.

I dati aiutano a comprendere lo squilibrio. Come hanno rilevato Massimo Baldini, Silvia Giannini e Simone Pellegrino in un articolo su La Voce, considerando la categoria catastale A, esclusi gli uffici, la somma delle rendite catastali è pari ad appena 16,9 miliardi di euro, di cui 15,6 di proprietà di persone fisiche. La rendita catastale media è quindi meno di 500 euro annui, pari a circa il 10 per cento di un affitto medio. «L’attuale sistema catastale, in assenza di revisioni e di una modalità di classamento coerente con le effettive caratteristiche dell’immobile, è dunque fonte di forti disparità sia “verticali” (considerando cioè immobili di diverso pregio) sia “orizzontali” (considerando cioè immobili simili)», spiegano Baldini, Giannini e Pellegrino.

La differenza tra i valori catastali e quelli di mercato è evidente non solo tra diversi comuni, ma anche all’interno degli stessi comuni tra centro, aree intermedie e periferie: sono avvantaggiate soprattutto le case nelle zone centrali delle grandi città, perché accatastate prima, rispetto a quelle in periferia. «La sperequazione tende a favorire i segmenti della popolazione con maggiore ricchezza abitativa», ha scritto l’ufficio parlamentare di Bilancio in una memoria presentata a novembre alla commissione Finanze.

Sempre al comma 2, alla lettera b, si legge che l’obiettivo della riforma è risolvere almeno tecnicamente questo squilibrio con l’attribuzione «a scopo informativo a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato». Si chiede, insomma, di rendere la rendita catastale più simile al valore di mercato. Alla lettera c, inoltre, si prevede di introdurre meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite in relazione alle modifiche delle condizioni del mercato di riferimento.

Tutte le integrazioni, però, «non saranno utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali». Questo è il punto a cui Draghi e diversi ministri si sono appellati per rassicurare i partiti di centrodestra che temono l’introduzione di una patrimoniale. «I decreti legislativi non potranno mai contraddire la delega e nessun atto amministrativo potrà cancellare la norma primaria, secondo cui l’affiancamento dei valori di mercato al valore catastale non può essere usato per far pagare le tasse», ha scritto Brunetta.

Anche se in molti auspicherebbero un riordino per garantire equità, non è possibile ottenerlo soltanto con una riforma tecnica come quella in discussione: serve anche una riforma della tassazione, un provvedimento politico che non è quello attualmente in discussione. Ma che ovviamente potrebbe arrivare in futuro, basandosi proprio sulle nuove possibilità offerte dal catasto rinnovato dalla riforma.

Da un punto di vista tecnico, spiega il notaio Claudio Togna, l’impianto della riforma è molto chiaro e non prevede provvedimenti che porteranno a un aumento automatico delle tasse. «L’obiettivo è avere una migliore mappatura e definizione degli immobili e soprattutto individuare quelli non censiti», dice Togna. «Qualunque parlamento può introdurre una patrimoniale, se ha i numeri per farlo. È una decisione politica e non tecnica. Se leggiamo bene questa riforma non troviamo da nessuna parte un riferimento all’aumento delle tasse».

Togna rileva che l’Agenzia delle Entrate conosce già il valore catastale e il valore di mercato, ricavato dalle Conservatorie dei registri immobiliari dove vengono archiviati gli atti di compravendita. Le informazioni necessarie per introdurre una patrimoniale sarebbero già disponibili: «Ma serve appunto una decisione politica, che il governo ha escluso. L’articolo 6 della riforma, invece, serve solo a rendere “strutturale” il raccordo tra l’Agenzia del Territorio ed Agenzia delle Entrate».

Nonostante questo, la riforma del catasto è stata fortemente contestata dalle associazioni che rappresentano i proprietari di immobili, come Confedilizia, dagli agenti immobiliari e dai professionisti che lavorano nel settore dell’edilizia. Secondo il presidente del Centro studi di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, «è difficile (per non dire assurdo) pensare che tutto sia fatto a fini conoscitivi, come dice il premier Draghi, e la storia insegna che nessun politico che abbia a disposizione la via per procurarsi più risorse da utilizzare, non abbia quella via percorso. Per cui è certo che le imposte sulla casa aumenteranno nel giro di poco tempo».

Le associazioni temono che la riforma catastale e in generale la riforma fiscale si adeguino in maniera troppo stringente alle richieste della Commissione europea che in più occasioni ha chiesto all’Italia di spostare la pressione fiscale dal lavoro alla rendita.

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