[ad_1]
L’incredibile passerella che il governo Conte permise al regime putiniano con l’avvio della missione “Dalla Russia con amore” è ancora una pagina da scrivere nella storia della diplomazia. Quello che avvenne sulla pista di Pratica di Mare è uno dei file più segreti nella storia dei rapporti recenti tra Italia e Russia. Ma anche di una crisi senza precedenti tra l’Italia e gli alleati, Stati uniti per primi. Che mise nell’angolo Giuseppe Conte, iniziando il lungo distacco culminato nella defenestrazione dell’avvocato pugliese da P.Chigi.
Oggi possiamo dire che sulla pista romana la notte del 22 marzo 2020 avvenne qualcosa di pericolosamente straordinario che spiega perché Lorenzo Guerini, attuale ministro della Difesa è diventato un target della disinformazione del Cremlino. Fu lui il primo a pagare lo scotto di quel filo diretto tra Conte e Putin. Il primo a pagare per il via libera alla parata militare che i blindati russi inscenarono per 700 chilometri da Roma a Bergamo lungo l’Autostrada del Sole. Il primo su cui gli alleati puntarono il dito.
Poche ore dopo l’arrivo del contingente russo per l’emergenza Covid, avvenne il primo contatto diretto con Washington, una telefonata tra il ministro e l’allora Segretario di Stato Mike Pompeo.
È il punto più basso nel rapporto tra i due Paesi, paragonabile per drammaticità solo agli incontri tra Aldo Moro e Henry Kissinger. Per un motivo molto semplice: la telefonata durò un minuto appena, un lasso di tempo che definiva prossimo allo zero lo stato del gradimento dell’Italia presso la Casa Bianca. Quel minuto non ha eguali nella storia diplomatica contemporanea nemmeno durante la crisi di Sigonella. Il primo risultato di quella gelida telefonata fu il dimezzamento della missione russa: dovevano arrivare 18 aerei quella sera, ne atterrarono la metà.
Per raccontare questa storia servono dei monitor fissi sui Palazzi che contano lungo l’asse Roma-Washigton. A Pratica di Mare atterrano 9 aerei cargo militari provenienti da Mosca.
Conte non è presente, c’è invece Di Maio ma soprattutto c’è il capo di stato maggiore Enzo Vecciarelli: una copertura massima sia a livello politico che militare. Quelli che stanno sbarcando non sono solo aiuti umanitari per il Covid ma una missione militare. Nessuno è stato informato che dentro gli aerei cargo c’erano più soldati che medici, più mezzi militari che materiale sanitario. Ma è impossibile fermare tutto. Chi era su quella pista avverte chiaramente cosa sta avvenendo. “Qualcuno ci sta usando come chaffeur, come badanti“, raccontano fonti dello Stato Maggiore. Il primo arrivo è delle 21.25. L’Italia è in lockdown da una settimana.
Le operazioni di scarico procedono per ore. A sovraintendere le operazioni di sdoganamento c’è il numero uno delle Dogane, Marcello Minenna. È lui ad aver in mano la lista degli aiuti di Mosca, una lista ancora oggi top secret. Alcuni parlamentari nei mesi seguenti la richiesero a Minenna ma la risposta fu un secco niet. “Faremo una conferenza stampa” – fece sapere il numero uno delle Dogane. Un appuntamento di cui però si sono perse le tracce. Quando giornalisti e parlamentari chiesero la lista con un accesso agli atti le Dogane rifiutarono l’accesso ai documenti. Ancora oggi quella lista è segreto di Stato.
Ma ci sono altri particolari che fanno pensare che quella andata in scena a Pratica di Mare fosse un’operazione di intelligence mascherata dall’invio di aiuti contro il covid. A partire dalla scelta del luogo. Che senso aveva fare atterrare il convoglio aereo a Roma invece che a Bergamo dove era diretto a distanza di 700 chilometri? Il motivo ci spiegano fonti militari è semplice: Pratica di Mare è una base dell’Aeronautica e ci si aspettava che non vi fossero controlli doganali che tutto fosse “militarizzato” e quindi sarebbe rimasto segreto. Lo confermano due dati: il primo è la reazione stizzita e di grande nervosismo dell’ambasciatore russo Serghey Razov quando i funzionari della dogana chiedono la lista di tutto il materiale contenuto nei giganteschi cargo Ilyushin. “Ci sono accordi, non c’è bisogno“, ripete l’ambasciatore sulla pista. Il desiderio dell’ambasciatore che ovviamente non aveva alcuna autorità su quella pista non viene esaudito.
Secondo dato: nella lista del materiale, scritta rigorosamente a mano in cirillico e senza nessun timbro ufficiale, non c’era una sola mascherina. C’era però uno strano furgone che attirò molte attenzioni.
Un Van, un furgone color crema senza finestrini: “Chiedemmo di aprirlo – ricorda oggi uno degli addetti alla pista – ma i russi si rifiutarono. Di certo all’interno c’erano apparecchiature elettroniche non mediche“. La risposta di un addetto russo che masticava qualche parola in italiano, forse un addetto dell’ambasciata, provò a risolvere la questione: “È per il collegamento televisivo…“. Ma il mezzo non aveva nessuna parabola sul tetto e la scritta in cirillico nella lista lo identificava così, “модуль Информац.” Traduzione, “unità mobile informativa“. Il punto però indica un’abbreviazione. Quindi la traduzione potrebbe essere anche questa, “unità mobile di intelligence“.
Intanto alle porte di Roma la colonna dei mezzi militari russi inizia la salita verso il nord Italia. Sono le ore 9 del mattino del 23 marzo.
Cambiamo latitudine e fuso orario. A Washington quando la parata russa in Italia parte alla volta di Bergamo è ancora buio, sono le tre del mattino. Al Pentagono, informato da protocolli Nato ma non da Palazzo Chigi del ponte aereo Mosca-Roma, alcuni funzionari stanno vedendo in diretta sulla tv di Stato Russia 24 i mezzi militari russi imboccare l’Autostrada del Sole direzione Bergamo. Di certo non apprezzano il commento dell’inviata Olga Skabeeva aggregata alla missione. “La nostra potenza e il nostro orgoglio, dice la corrispondente. In questa maniera noi, senza dare nell’occhio e come fosse per caso, siamo arrivati con i nostri militari direttamente alla NATO“. Dai suoi canali tv e social Mosca inonda il sistema informativo di immagini molto forti: mezzi militari russi, con annessa bandiera, sulle autostrade italiane e ufficiali di Mosca in briefing con soldati italiani chinati su una cartina dell’Italia. La comunicazione ufficiale di Palazzo Chigi però non appare. La narrazione del Cremlino è affilata: l’Unione europea non aiuta l’Italia, la Polonia ha negato lo spazio aereo per i nostri aiuti. Gli obiettivi sono squadernati. Le immagini fanno il giro del mondo.
In quel momento nell’edificio di fronte al Ministero della Difesa che ospita lo Stato Maggiore qualcuno inizia a far di calcolo. Da un lato c’è la lista degli aiuti russi, dall’altro il costo del carburante che i russi chiedono sia a carico del governo italiano.
Alla fine di un veloce briefing gestito dal Capo di Stato Maggiore e alla presenza di alte personalità di governo il calcolo del costo del primo ponte aereo con Mosca produce una cifra di circa 700mila euro. Il briefing si scioglie con un alto ufficiale che pone una domanda, “Forse era meglio pagarli questi aiuti“. La stima dei costi non è campata in aria.
Il cargo Ilyushin Il-76MD secondo la casa di produzione ha un serbatoio di 109 500 litri di cherosene. Secondo questa tabella il costo di un litro di carburante è di circa 70 centesimi al litro. Ogni volo è quindi costato quasi 80mila euro. Per i 9 voli arrivati a Pratica di Mare il costo si aggirava intorno ai 700mila euro.
Ecco cosa vede quindi Guerini quella notte: una incomprensibile sfilata di mezzi militari blindati di cui non era a conoscenza e che si sarebbero rivelati essere il cuore di quella missione, un obiettivo propagandistico. Quella gelida e brevissima telefonata tra Guerini e Pompeo ha un immediato risultato: dalla Russia il primo ponte aereo prevedeva 18 aerei, ne arrivarono 9.
Serviva un’offensiva diplomatica e di comunicazione con precisi passaggi per sanare la frattura. Tre giorni dopo il titolare della Difesa promuove un’operazione diplomatica per ristabilire i rapporti.
“Italia e Stati Uniti sono vicini più che mai anche in questa battaglia contro il Covid-19; la nostra amicizia è sempre un punto fermo”, dice il ministro accogliendo gli otto camion dello US Army, frutto anche di un carteggio con il segretario Usa Mark Esper.
Non tutti i particolari di questa storia sono ancora emersi. E rimangono ben celati nei cassetti di Palazzo Chigi: gli alleati occidentali erano al corrente degli aiuti russi ma di certo nessuno, nemmeno la Difesa, conosceva la parata di mezzi militari.
Anche Conte provò a correre ai ripari e rese noto di aver chiamato Donald Trump ottenendo 100 milioni di euro in aiuti. Se alla fine siano mai arrivati è un dettaglio, tutto allora si giocava sul piano mediatico.
E tra le tante dichiarazioni ne rimane una ancora poco chiara, quella di Vladimir Putin: “L’accordo con Roma è una strada a doppio senso, l’Italia fornisce alla Russia materiale per il funzionamento dei ventilatori polmonari“, dice lo Zar il 20 aprile. Un accordo commerciale di cui poco o nulla è noto.
Il ponte aereo con Roma faceva parte di una larga manovra diplomatica con un preciso obiettivo: chiedere la fine delle sanzioni utilizzando l’emergenza del covid. Nelle settimane precedenti la Russia era impegnata all’Onu per cancellare le sanzioni dopo l’annessione della Crimea. E appena un mese dopo l’avvio della missione l’ambasciatore russo a Roma Sergey Razov, presente sulla pista di Pratica di Mare, scrive una lettera a Vito Petrocelli a capo della Commissione Esteri del Senato. Un’operazione di lobbying sui parlamentari italiani con lo stesso obiettivo, cancellare le sanzioni. E si torna di nuovo lì, all’Ucraina, alle sanzioni, alle operazioni militari mascherate da diplomazia, alla disinformazione. Quello che non è riuscito ad ottenere con questi metodi oggi Putin lo pretende con le armi.
© Riproduzione riservata
[ad_2]
Source link