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I russi sostengono di voler «aumentare la fiducia reciproca» nei negoziati. Gli ucraini ritengono che potrebbe non trattarsi di una ritirata, ma che l’esercito di Putin abbia bisogno di riorganizzare e rifornire le unità impegnate da un mese
È un giorno potenzialmente importante nella storia di questa crisi. La Russia ha annunciato che ridurrà «drasticamente» la presenza attorno a Kiev e a Chernihiv, nel nord, per aumentare — così ha detto il vice ministro della Difesa Alexander Fomin, un componente del team dei negoziatori russi a Istanbul — «la fiducia reciproca e arrivare a un accordo di pace». Secondo il ministero della Difesa ucraina, le prime unità si sarebbero già ritirate negli ultimi cinque giorni dai quartieri a nordovest della capitale, rientrando verso la Bielorussia, da dove erano partite all’alba del 24 febbraio: tra i reparti riportati oltre confine ci sono aliquote della 35esima Armata e della 106esima divisione aviotrasportata.
Le date sembrerebbero confermare , ancora una volta, la profezia dei 10 giorni del generale Ben Hodges. A Kiev ritengono però che potrebbe non trattarsi di una ritirata vera e propria, ma che l’esercito di Vladimir Putin abbia bisogno di riorganizzare e rifornire le unità che da un mese combattevano alle porte della capitale, senza riuscire a piegare la resistenza: ci sono buone possibilità, spiegano gli analisti, che i russi stiano cercando di guadagnare tempo per mettere insieme le risorse necessarie a una nuova offensiva. Altro dettaglio da valutare. La riduzione della pressione russa su Kiev potrebbe permettere agli ucraini di andare in aiuto dello schieramento nelle zone meridionali del paese, settore dove il nemico ha messo a segno successi. Vedremo – come indica l’analista Michael Kofman – se l’Armata farà mosse per evitarlo. Infatti fonti Usa avvertono: quello russo non è un ritiro ma un ridispiegamento; ci aspettiamo nuove offensive in altri quadranti.
La guerra, quindi, è tutt’altro che finita. I contrattacchi ucraini hanno avuto successo nei sobborghi della capitale, a Irpin, Bucha e Hostomel, dove si trova l’aeroporto in cui — la prima notte dell’offensiva — sbarcarono le truppe elitrasportate che dovevano uccidere il presidente Volodymyr Zelensky: invece fu una carneficina. Molto pesanti i vuoti patiti in queste settimane da un’unità di carri russi (4th Guard) nella regione di Trostanyets: ne sono stati distrutti 46 su 220, in particolare i T80. Per renderli efficaci e strutturali, però, l’esercito di Kiev ha bisogno di nuove armi dall’Occidente. I combattimenti restano intensi soprattutto a Mariupol, dove il centro resta ancora in mano ucraina, e nel Donbass, dove la Difesa di Mosca ha detto nei giorni scorsi che avrebbe concentrato i propri sforzi, ma i russi continuano a bersagliare le città con i missili a lunga gittata, un modo per mantenere alta la pressione sui leader ucraini e al tempo stesso colpire gli obiettivi, militari e civili. Le retrovie, anche rispetto all’annuncio di Mosca, diventano sempre più importanti.
Negli ultimi giorni, i razzi di Putin hanno distrutto depositi di carburante in tutto il Paese, per complicare la logistica e — sostengono gli ucraini — creare le condizioni per una crisi umanitaria: è successo a Kiev, Leopoli, Rivne, Zhytomyr, e Lutsk. La riduzione di scorte di carburante potrebbe incidere pesantemente sulle operazioni della resistenza, ed è un fattore da non trascurare: è strano, piuttosto, che i russi non abbiano deciso di prendere di mira le grandi cisterne all’inizio dell’invasione. Forse pensavano che non fosse necessario. Anche Kiev deve pensare a come rimettere in sesto il proprio dispositivo, che ha subito comunque perdite ingenti: i «difensori», oltretutto, devono mantenere sicure le vie di comunicazione nella parte occidentale, da dove arrivano missili e aiuti. In questa sfida «alle spalle» c’è da segnalare un probabile nuovo sabotaggio della linea ferroviaria in Bielorussia, così fondamentale per garantire il transito di materiale bellico dalla Russia. Secondo informazioni — da verificare — ad operare sarebbero cellule locali di bielorussi.
In questo quadro molto dinamico è «riapparso» il leader ceceno Ramzan Kadyrov. Ieri avrebbe visitato Mariupol accompagnato dal figlio, Adam. Un video lo ha mostrato visitare un ospedale e incontrare alcuni dei suoi ufficiali, compreso il generale Ruslan Geremeyev, comandante del contingente che partecipa alla battaglia in città. Nel filmato, compare anche il generale russo Mordvichev, la cui uccisione era stata annunciata dagli ucraini qualche giorno fa. C’è poi una foto in cui il dittatore, in mimetica, prega inginocchiato nel piazzale di un distributore. E qui riemergono i sospetti: secondo alcuni, le insegne dell’impianto sono della rete Rosneft, che non è presente in Ucraina. Altri interrogativi riguardano l’esatta datazione dello show: tutti risvolti resi sbiaditi dalla nebbia di guerra.
Ma non è finita. Perché un esperto, Neil Hauer, sostiene che Kadyrov sarebbe stato nominato generale dell’Armata russa, un riconoscimento importante per un uomo che si è spesso rivelato un fedele esecutore del Cremlino. Non ha grandi doti strategiche, ma non si tira indietro nelle missioni inconfessabili, come l’eliminazione di oppositori. Al tempo stesso può essere un premio per le componenti esterne che danno il loro contributo alla campagna. Un’inchiesta della Bbc sostiene che un buon numero di caduti sono militari originari dell’Ossetia del sud e del Daghestan, mentre il 20 per cento dei morti russi sarebbero ufficiali. Piuttosto alta è anche la quota delle unità aerotrasportate. Sono comunque valutazioni che non possono essere considerate definitive.
29 marzo 2022 (modifica il 29 marzo 2022 | 18:40)
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