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Questo articolo è uscito il 26 marzo 2022 a pagina 19 del numero 20 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
Se avesse potuto, avrebbe continuato a suonare il clarinetto. Musica jazz, per lo più. E quando decise di iscriversi all’università, non sentì per niente accendersi dentro di sé “il fuoco dell’architettura”. In ogni caso Raul Pantaleo architetto lo è diventato (laurea allo Iuav di Venezia con Vittorio Gregotti). Ma dopo i primi anni trascorsi ristrutturando appartamenti, la professione ha preso una piega diversa, che lui sintetizza in un’espressione: l’architettura come medicina contro il degrado del quotidiano. E inseguendo questo obiettivo Pantaleo e la TAMassociati, lo studio di cui è titolare insieme a Massimo Lepore e Simone Sfriso, sono diventati dal 2004 i progettisti di gran parte degli ospedali che l’ong Emergency ha costruito in zone di guerra, sia in diversi paesi africani sia in Afghanistan o nello Yemen, ma anche a Ponticelli, periferia nord di Napoli, o a Marghera, a Castel Volturno e a Polistena, dove Gino Strada, scomparso nell’agosto 2021, ha voluto aprire poliambulatori che accogliessero prevalentemente migranti.
Pantaleo è nato nel 1962, ha origini per metà pugliesi, per metà istriane. Dopo la laurea ha continuato a vivere a Venezia fino al 2014, poi si è trasferito a Trieste. Ma è nella città lagunare che ha sede lo studio, non lontano dalla stazione di Santa Lucia. Ed è da qui che ci avviamo verso un’enoteca che gli ha suggerito un amico, a metà strada tra campo San Pantalon e i Tolentini, in una zona di Venezia felicemente spiazzante, frequentata più da studenti che da turisti.
Il problema era far capire che l’architettura poteva essere utile per allestire luoghi capaci di ridurre sofferenze e disuguaglianze
Il menu è veneziano da cima a fondo. E molto veneziano appare anche lui per come cammina spedito tra le calli, imboccandole senza esitare. Allora perché ha lasciato Venezia? “È strano, vista la sua storia”, dice mentre viene servito un assaggio di benvenuto, “ma mi è sembrato che Venezia stesse perdendo la capacità di leggere cosa accadeva nel mondo, le migrazioni, le guerre, le povertà e le disuguaglianze. Che non fosse più una città di oggi, ma rimanesse chiusa in una bolla dorata. Trieste è città di confine, ai miei occhi assorbe le drammatiche contraddizioni del pianeta”.
In realtà, anche se i contatti con Emergency sono arrivati più tardi, è già durante l’università e dopo la laurea che Pantaleo attribuisce al mestiere un profilo che va oltre l’essere, come dice, “un architetto condotto”. Un profilo altrettanto lontano dai modelli di quegli anni: l’architetto alla moda, sedotto dalle parole d’ordine del postmoderno, al tempo stesso magniloquenti ed effimere. Con alcuni compagni di studi Pantaleo fonda la rivista Utopica, “che voleva reagire al crollo dell’impegno politico di cui si parlava allora, tenendo insieme una grande concretezza, che per noi architetti era aderenza ai luoghi, e la visione del futuro”.
La TAMassociati nasce nel 1996 con un impegno: basta clienti privati, da ora in poi solo progetti con un forte contenuto sociale e rispettosi di precetti ecologici. Facile a dirsi. “In verità furono anni durissimi”, racconta Pantaleo. Lo sguardo si fa severo dietro le lenti rotonde rette da una sottile montatura metallica. “Era come se avessimo smesso con le sigarette, non potevamo tornare indietro. Prendemmo contatti con Banca Etica e l’Arci ci commissionò una soluzione grafica per impaginare la Dichiarazione universale dei diritti umani. Ma il problema vero era che dovevamo inventarci una committenza, far capire che il lavoro dell’architetto poteva essere utile all’impegno umanitario per allestire luoghi capaci di ridurre sofferenze e disuguaglianze”.
Intanto lo studio partecipa a concorsi per la sistemazione di spazi pubblici e alcuni li vince, a Monterotondo, per esempio, o nell’isola di Pellestrina, nella laguna veneziana. Le architetture della TAMassociati, continua Pantaleo, “erano distanti dagli edifici di vetro e di ferro che a quel tempo andavano per la maggiore e che necessitavano di costosi sforzi di manutenzione. Erano oggetti in cui prevalevano il gesto, l’ego del progettista, non erano pratici e non duravano”.
Sono altre le bussole di Pantaleo e dei suoi soci. Si guarda alle architetture umili e garbate di Giovanni Michelucci, il progettista della stazione di Firenze e del quartiere popolare dell’Isolotto, sempre nel capoluogo toscano.
L’incontro di Pantaleo con Gino Strada avviene nel 2003. “Seppi di un bando di Emergency per il ruolo di ‘logista edile’ a Kabul, praticamente un capocantiere. Mi candidai e partii. Bisognava trasformare in ospedale un edificio d’epoca sovietica, poco significativo, ma non privo di una certa armonia. Gino era un maestro d’architettura. Diede poche indicazioni. Ora quel complesso non ha l’anonima funzionalità che un ospedale richiede, ma mostra il volto umano dell’architettura, che mette al centro il piacere dello stare, non solo dell’essere ben curati”.
Da allora in poi è questo il criterio che guida la costruzione degli ospedali di Emergency. A cominciare dal primo che reca la firma di Pantaleo e della TAMassociati: il centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum, in Sudan. “Anche lì andai come capocantiere”, racconta, “ma subito emersero complicazioni. Ne parlai con Gino e gli dissi che così non si poteva procedere, senza un progetto vero e proprio. ‘Fallo tu’, mi rispose”.
Dopo il Sudan, dove gli ospedali di Emergency oggi sono tre, vengono la Repubblica Centrafricana, la Sierra Leone, il Kenia. Ma le guerre lacerano senza confini. E dunque bambini mutilati e donne incinte reclamano cure in Iraq e nello Yemen. Oppure a Entebbe, in Uganda, dove la TAMassociati progetta un centro di chirurgia pediatrica in collaborazione con Renzo Piano.
Gli occhi di Pantaleo s’illuminano dietro le lenti. “Mi è sembrato di rinascere, sia come uomo sia come architetto. Ho compreso le ragioni profonde del fare. Abbiamo lavorato con le poche risorse disponibili, mettendo a frutto i saperi e i materiali dei luoghi, abbiamo inventato soluzioni non energivore che ora direi geniali per rinfrescare gli ambienti. Vogliamo che gli ospedali siano efficaci, più che efficienti, e lo siano da tanti punti di vista, compreso quello simbolico.
Devono rappresentare un’idea di futuro per persone costrette a pensare solo a come sopravvivere oggi. E poi abbiamo seguito il precetto di Gino, che invocava ospedali scandalosamente belli”.
Ristorante Estro
Dorsoduro 3778, Venezia
2 antipasti di pesce
€ 34,00
2 risotti con radicchio trevigiano
€ 38,00
2 calici di ribolla
€ 12,00
2 caffè
€ 4,00
2 coperti
€ 6,00
Totale € 90,00
Questo articolo è uscito il 26 marzo 2022 a pagina 19 del numero 20 dell’Essenziale. Puoi abbonarti qui.
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