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Gli esiti delle analisi delle acque fognarie in diverse città della Lombardia condotte nell’ultimo anno, e da poco pubblicati sulla rivista scientifica JAMA, confermano quanto siano stati importanti i vaccini nel tenere sotto controllo i casi gravi di COVID-19 per buona parte del 2021. Il nuovo studio, realizzato dall’Istituto Mario Negri e dall’Università degli Studi di Milano, mostra efficacemente la variazione nel corso del tempo della concentrazione di coronavirus nelle acque reflue, che ormai da tempo è considerato un importante indicatore per comprendere l’effettiva diffusione del virus al di là delle stime ufficiali, ma inevitabilmente parziali.
Analizzare le acque reflue per motivi di salute pubblica era una pratica piuttosto diffusa già prima della pandemia. Era per esempio impiegata per verificare l’efficacia delle vaccinazioni contro la poliomielite, per studiare l’abuso di antibiotici e per quantificare l’impiego delle sostanze stupefacenti tra la popolazione, identificando le aree geografiche di maggior consumo.
Per la rilevazione del coronavirus nelle fogne in questi due anni di pandemia sono stati impiegati diversi criteri, a seconda delle necessità e dei paesi in cui sono state svolte le ricerche. In alcuni casi lo scopo era prettamente di studio, per esempio per capire quanto materiale del coronavirus sia espulso con le feci dai positivi, mentre in altre circostanze lo scopo è stato provare a prevenire nuovi focolai di COVID-19 o mettere a confronto i dati ufficiali, derivanti dai test con tampone, con le concentrazioni del virus rilevate nelle acque reflue.
Nel corso del 2021 studi di questo tipo avevano interessato molti paesi, da Hong Kong agli Stati Uniti, passando per Australia, India, Emirati Arabi Uniti e i Paesi Bassi. Il sistema aveva ottenuto via via maggiori attenzioni dalle autorità sanitarie non solo perché permette di rilevare il materiale genetico emesso dai malati con le loro feci, ma anche quello degli asintomatici solitamente più difficili da identificare, specie da quando c’è la protezione offerta dai vaccini contro il coronavirus.
Come aveva efficacemente spiegato tempo fa Gertjan Medema, microbiologo citato dal sito di Nature: «Non tutti vengono sottoposti a test, ma tutti vanno in bagno: è bello avere uno strumento oggettivo che non dipende dalla volontà dei singoli di sottoporsi a un tampone».
La possibilità di avere dati affidabili dalle impellenti necessità della popolazione era stato sfruttato anche in Italia con un progetto coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS) e applicato poi da altri centri di ricerca, sia con l’obiettivo di tenere sotto controllo l’andamento della pandemia sia di rilevare l’eventuale diffusione di nuove varianti.
Il nuovo studio pubblicato su JAMA, e riferito a Milano e altre città della Lombardia, è tra i più completi perché copre quasi per intero il periodo della pandemia, rendendo possibile un confronto tra i casi rilevati tramite i tamponi e la concentrazione di coronavirus nelle acque reflue, altro importante indicatore.
Il grafico con i dati della città di Milano mostra come la carica virale nelle acque reflue, nel mese di novembre del 2021, fosse simile a quella rilevata nel novembre dell’anno precedente, nonostante a fine autunno 2021 il numero di positivi e di ricoverati per COVID-19 fosse molto inferiore rispetto a quello nello stesso periodo del 2020.
Come atteso, i vaccini contro il coronavirus non hanno ridotto in modo significativo la circolazione del coronavirus. In compenso hanno offerto un’importante protezione dalle forme gravi di COVID-19, riducendo di conseguenza il rischio di ricovero e morte, specialmente per i soggetti anziani o con problemi di salute. Il virus è circolato quanto l’ondata precedente, nonostante ci fosse un tasso di vaccinati intorno al 75 per cento.
La ricerca a Milano è stata condotta prelevando settimanalmente campioni dal depuratore di Nosedo, dalle cui condutture passa circa metà delle acque reflue della città. I campioni sono stati poi analizzati per rilevare presenza e concentrazione del coronavirus.
Come mostrato da altre ricerche simili, le rilevazioni di questo tipo consentono di anticipare di circa un paio di settimane ciò che viene poi rilevato con i test tramite tampone. L’eliminazione del coronavirus tramite le feci inizia del resto poco dopo l’inizio dell’infezione virale, anche in assenza di sintomi. Periodi particolarmente piovosi possono influire sulle rilevazioni, ma sono previsti aggiustamenti nei calcoli per tenere in considerazione queste e altre variabili.
Come ha spiegato Giovanni Nattino, epidemiologo dell’Istituto Mario Negri: «La situazione fotografata dai dati conferma che, nonostante il virus circolasse anche tra i vaccinati, i vaccini sono stati fondamentali nel prevenire le forme sintomatiche e gravi della malattia. Questo dovrebbe mettere in guardia gli individui immunocompromessi e chi non ha ancora ricevuto il vaccino, poiché il rischio di contrarre il virus è molto superiore rispetto a quanto può essere ipotizzato sulla base del numero di casi positivi e ospedalizzati».
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