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Martedì Autostrade per l’Italia (ASPI), la società che gestisce quasi 3.000 chilometri di rete autostradale italiana, ha chiesto il patteggiamento nel processo sul crollo del ponte Morandi di Genova, nel quale morirono 43 persone il 14 agosto del 2018. Oltre ad Autostrade ha chiesto il patteggiamento anche la sua controllata SPEA, che all’epoca si occupava della manutenzione della rete. Il patteggiamento ammonta a quasi 30 milioni di euro, ed è una conseguenza del passaggio di proprietà di ASPI dalla famiglia Benetton allo stato. Per il crollo del ponte Morandi rimangono indagate decine di persone, compresi gli ex dirigenti di ASPI accusati di vari reati tra cui omicidio colposo plurimo.
La richiesta è arrivata nel corso dell’udienza preliminare del processo: se sarà accolta dalla gup Paola Faggioni – cosa molto probabile visto che c’è stato già il parere favorevole dalla Procura di Genova, che rappresenta l’accusa – Autostrade, indagata per responsabilità amministrativa, eviterà quindi il dibattimento e concluderà anticipatamente il processo.
Il patteggiamento prevede che Autostrade non contesti le accuse e che in compenso versi allo Stato italiano circa 27 milioni di euro a titolo di risarcimento e 1 milione di euro di multa: la somma del risarcimento corrisponde a quanto Autostrade avrebbe dovuto spendere per eseguire le opere di manutenzione dei piloni 9 e 10 del ponte (dette di “retrofitting”) e che invece non eseguì. Con il patteggiamento Autostrade non subirà misure interdittive, come il divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione in futuro.
Il procuratore di Genova facente funzioni Francesco Pinto ha spiegato il parere favorevole al patteggiamento dicendo che «abbiamo dato il consenso per varie ragioni: Autostrade ha adottato un nuovo modello di organizzazione, di gestione e di controllo che può prevenire reati analoghi, ha modificato il documento per la valutazione dei rischi, ha risarcito in modo pressoché integrale le vittime e ha messo a disposizione dello Stato questa somma che è l’equivalente di quanto avrebbero speso se avessero fatto i lavori per evitare il disastro, quelli alle pile 9 e 10 del ponte».
Nelle parole di Pinto si intuisce quanto il cambio di proprietà di Autostrade abbia influito in questa decisione: nel giugno del 2021 la holding Atlantia, della famiglia Benetton, aveva infatti accettato di vendere la società a Cassa Depositi e Prestiti (CDP), la società finanziaria controllata per l’83 per cento dal ministero dell’Economia. Nel frattempo, peraltro, Autostrade ha anche distribuito più di 60 milioni di euro di risarcimenti alle famiglie delle persone morte nel crollo e ha contribuito alla ricostruzione del ponte.
Il patteggiamento di Autostrade non cambierà la posizione degli altri indagati, 59 in tutto, che la giudice dell’udienza preliminare dovrà decidere a breve se rinviare a processo o meno. Tra questi ci sono l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e Atlantia, Giovanni Castellucci, e altri dirigenti della società, accusati di aver ignorato e sottovalutato il rischio di crollo del viadotto, per risparmiare e distribuire maggiori dividendi.
Gli imputati sono accusati, a vario titolo, di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, disastro colposo, crollo doloso, rimozione dolosa di dispositivi di sicurezza, falso, omissione d’atti d’ufficio e attentato alla sicurezza dei trasporti.
– Leggi anche: Storia e problemi del ponte Morandi
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