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Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene – assai più noto come Carmelo Bene – era nato nel 1937 e morì 64enne, a Roma, il 16 marzo 2002, vent’anni fa. Fu un personaggio eclettico e provocatore, complesso e controverso, che sperimentò varie forme d’arte e di espressione, soprattutto nel teatro e nel cinema ma anche in radio e televisione, nella poesia, in musica e nella letteratura. Nel corso della sua vita movimentata ebbe a che fare, tra gli altri, con Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino, Salvador Dalì e Michel Foucault. E in mezzo non disdegnò nemmeno di andare a litigare e ragionare di grandi questioni a Domenica In, da Maurizio Costanzo o perfino a MTV.
Carmelo Bene era nato a Campi Salentina, in provincia di Lecce, figlio dei gestori di una grande fabbrica di tabacco. Fece il liceo classico e iniziò ma non finì giurisprudenza. Dopodiché frequentò un paio di scuole di recitazione, anche lì senza arrivare alla fine, e riuscì a evitare la leva obbligatoria. Si trasferì prima a Roma e poi a Firenze e a Genova.
Il suo debutto teatrale arrivò poco dopo i vent’anni, nel Caligola di Albert Camus. Nei primi anni Sessanta fece l’Amleto, che anni dopo avrebbe rifatto e riadattato, e poco dopo cominciò una fase di sempre maggiore sperimentazione. Alla fine del decennio scrisse i suoi primi libri e iniziò a lavorare nel cinema, tra le altre cose recitando in Edipo re di Pier Paolo Pasolini e poi dirigendo, tra il 1970 e il 1973, i film Ventriloquio, Hermitage, Il barocco leccese, A proposito di “Arden of Feversham”, Nostra Signora dei Turchi, Capricci, Don Giovanni, Salomè e Un Amleto di meno.
Alla televisione ci arrivò dopo il cinema, e negli anni Settanta e Ottanta diversi suoi spettacoli e alcune sue letture ebbero le loro versioni televisive. In televisione, poi, fu spesso ospite, soprattutto tra gli anni Ottanta e Novanta. Da Costanzo in particolare, Bene andò più volte e di quegli interventi c’è ancora una ricca testimonianza online. Particolarmente nota e notevole è una trasmissione del giugno 1994, che aveva il formato dell’uno contro tutti. L’uno era Bene che, sul palco accanto a Costanzo, rispondeva alle domande dei tutti, che erano giornalisti, critici e opinionisti vari. Il formato fu proposto anche con altri ospiti, ma con Bene – che a quanto si dice accettò di andare per far parlare di sé e far vendere più biglietti di un suo spettacolo – ne uscì qualcosa di diverso. Ha scritto su Link Antonio Pascale:
«L’uno contro tutti, ossia il trionfo delle micro opinioni, quel tipo di format che ancora oggi regna, andò da subito in corto circuito. Divenne gli infiniti doppi di Carmelo Bene contro la monotematicità dei tanti. Interrogato su fatti privati Bene rispondeva sul piano esistenziale, pressato dai giornalisti ribatteva che la stampa informa dei fatti non sui fatti, sollecitato sull’impegno rispondeva “me ne fotto del Ruanda” (facendo sentire a tutti il gelo del nostro costante disimpegno), invece di ascoltare le opinioni degli interroganti faceva notare che non solo erano microopinioni ma il dramma era un altro: le microopinioni fondano la democrazia che diventa demagogia, un tema che ancora oggi fatichiamo ad accettare
[…] Carmelo Bene parlava per citazioni di citazioni di citazioni e solo per ribadire che non parliamo ma siamo parlati (non si informi – diceva – si disinformi), oppure smontava il tutto attraverso il coltissimo turpiloquio: non parlo di ontologia, parli con il signor Heidegger e vada a fare in culo. E si permise momenti di grande verità tragica, la democrazia garantisce l’invivibilità della vita, non la risolve, chi sceglie la libertà sceglie il deserto. Oppure: la vera libertà è libertà dal lavoro non del lavoro».
«Per me l’intelligenza è miseria» disse a un certo punto Bene dopo aver citato Eugenio Montale, che traduceva Friedrich Nietzsche, e già che c’era anche Jacques Lacan.
«Mi manca la coerenza, non ce l’ho, non la voglio, te la regalo tutta, vecchio». E poi: «qui c’è troppo puzza di Dio».
Nella puntata dell’anno successivo, inizialmente più pacata e poi via via più agitata, Bene pronunciò una frase che sarebbe spesso stata ricordata fuori dal suo contesto: «crepi la democrazia, crepi la Repubblica, crepi il presidente della Repubblica».
Nel teatro, Bene fu un costante, fervente e spesso controverso sperimentatore. Tra le premesse dell’approccio di Bene al teatro c’era la convinzione che il testo di partenza fosse non più importante di tanti altri aspetti, come per esempio gli oggetti di scena o le luci. Sul Fatto Quotidiano, Adriano Ercolani ha scritto:
Per chi non avesse mai visto nulla di Carmelo Bene, potremmo provare a riassumerlo così: immaginate un attore tecnicamente dotato di un registro vocale spaventoso, con il fascino di una diva, l’eleganza di un dandy, l’intelligenza affilata di un filosofo esistenzialista, il furore mistico di un poeta cantore degli eccessi, una cultura sconfinata come il suo ego. Eppure, sarebbe fuorviante: se superficialmente sembrava incarnare la formula “genio e sregolatezza”, la teoria e prassi teatrale di Bene miravano proprio a eliminare l’attore (e l’autore) dalla scena, restituendo al teatro il suo valore antico e sacro di “buio musicale”, di luogo di estasi estetica e non indagine critica o propaganda ideologica.
Qui, comunque, Carmelo Bene recita in Amleto (da Shakespeare a Laforgue).
E ancora, con toni diversi, in Hommelette for Hamlet.
Nonostante il suo essere complicato, magari per qualcuno quasi criptico e oscuro, il teatro di Bene riuscì spesso a essere anche popolare e di successo. Nel cinema, dove fu attivo prima come attore poi, anche come regista e in altri ruoli tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, Bene si dedicò principalmente a film sperimentali e colti. Questo è un estratto da Nostra Signora dei Turchi, film da lui diretto e tratto da un suo libro, che poi fu portato anche a teatro. Partendo da un legame con una battaglia del 1480, il film è soprattutto un complesso e filosofico percorso interiore.
Del cinema – in generale, non il suo – a Bene capitò di dire questo.
Bene recitò anche i “Canti” di Giacomo Leopardi.
E quelli della Commedia di Dante. Lo fece, la prima volta, dalla Torre degli Asinelli di Bologna, un anno esatto dopo la strage del 1980. Maria Antonietta Epifani ha scritto su Treccani:
«Carmelo Bene sale su una scaletta da pompiere e salutato da una fittotramata folla in devozione (come lui stesso racconterà in Sono apparso alla Madonna) si sistema in cima alla Torre degli Asinelli. Si pone dietro al leggio illuminato. «È un capolavoro di scenografia, l’antica gloria dei palazzi usata come quinte e sipari inondati di luce violetta» (Goldoni 1981). Sotto, ad ascoltarlo, una marea di gente, come fosse un concerto rock. Chiede a Lydia Mancinelli (compagna di scena e di vita) di tenergli ferme le caviglie per tutto il tempo della lettura perché soffre di vertigini. Le luci man mano si attenuano per dare luce solo al volto. Una fiumana di persone in silenzio, «l’intero centro di Bologna, come caduto in trance, sembrava non muoversi neppure, quasi temesse di poter rompere l’incanto» (Maenza 2005:75).
Per chi sta pensando a quell’altro famoso recente lettore di Dante, prima di diventarlo, andò a lezione proprio da Bene.
A proposito di grandi lettori di cose, a Bene successe anche di discutere con Vittorio Gassman, del quale poi nel 2000, intervistato dall’Espresso, avrebbe detto: «in quanto al mio amico Vittorio Gassman, gli dissi una volta scherzando: “Non puoi accontentarti di essere il meglio del peggio, cioè il pessimo”». Gassman, disse invece a Bene, in un’altra occasione: «non vorrei un giorno tu ti credessi quel Dio che tu sai non esistere».
Bene diede anche voce a diversi intervistati delle Interviste impossibili, il programma radiofonico degli anni Settanta in cui gente come Alberto Arbasino, Umberto Eco ed Italo Calvino intervistava personaggi storici. Fu, tra gli altri, Marco Aurelio, Tutankhamon, Montezuma, Giacomo Casanova, Marat e Jack lo squartatore.
Un’altra celebre intervista di Bene – dai toni ben più pacati rispetto a quelle da Costanzo – fu a Mixer Cultura, a fine anni Ottanta. Come al solito Bene parlò parecchio: «non mi mattatorizzi la trasmissione», gli fu detto. «Non intendo», rispose lui tacendo.
Bene aveva una pessima opinione della critica: «io non ho davvero rapporti con la critica. Sono loro che sono pagati per averne con me. Quindi per loro è un mestiere. Io non sono pagato per avere rapporti con loro». Disse inoltre che «la critica vive dalle 22 alle 24, cioè due ore la sera. Non puoi due ore la sera capire quello che invece io continuo a vivere ora per ora».
Tra le tante cose, Bene finì anche a parlare di morte, fede, identità, lavoro e altre questioni su MTV, nel 1999, a Sushi.
Altre domande e altre risposte di Bene, compreso un finale «vattelappésca».
Per finire: «il discorso non è l’essere parlante, io che sto parlando non sono io».
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