Pareti di 3 metri e tetti che resistono alla caduta di un aereo. Così le centrali nucleari ucraine sono pensate per la guerra
di
Elena Dusi
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Dalle centraline di Chernobyl non arrivano dati dalla mattina del 25 febbraio e l’Agenzia nazionale per l’energia atomica ammette la preoccupazione per l’impossibilità di comunicare con il personale ucraino della centrale di Zaporizhizhia caduta nelle mani delle forze armate russe e per l’attacco contro l’impianto di ricerca nucleare di Kharikiv ma né in Europa né tantomeno in Italia è stata rilevata alcuna modifica sui livelli di radioattività nell’atmosfera. “Non c’è nessun allarme nucleare, no a farmaci fai-da te. Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione”, ammonisce l’Istituto superiore di sanità preoccupato per la corsa irrazionale che si sta verificando anche in Italia all’acquisto di pastiglie di iodio e addirittura (per chi se lo può permettere) alla disponibilità di un rifugio ad hoc.
Rifugi al chiuso per la popolazione e distribuzione di farmaci a base di iodio in realtà sono tra le contromisure previste dal Piano di sicurezza nucleare di cui l’Italia dispone dal 2010 e il cui ultimo aggiornamento è stato appena firmato dal capo della Protezione civile Fabrizio Curcio. Ma si tratta di interventi diretti sulla popolazione che verrebbero applicati solo nel caso in cui la fonte della contaminazione fosse entro i 200 chilometri dal territorio italiano, la più grave delle tre fasi previste dal Piano, dunque certamente non adeguata ad un’eventuale emergenza nelle centrali ucraine che distano più di 1.000 chilometri.
Un’eventuale emergenza sarebbe gestita a Roma nella sala operativa Cevad dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione diretto da Maurizio Pernice, che monitora costantemente la situazione in contatto con la rete europea. Anche lui lancia l’appello: “Nessuna psicosi ingiustificata, nessuna corsa in farmacia, non c’è nessun motivo di fare incetta di compresse di iodio (che peraltro non ha senso prendere in via preventiva e mai senza controllo medico) nè pensare a bunker blindati. Viste le distanze con l’Ucraina, per noi il parametro di riferimento resta Chernobyl. Nel senso che un eventuale incidente potrebbe avere in Italia le stesse ricadute dell’86, quindi non dirette sulle persone ma sul territorio”.
Proviamo a spiegare meglio: il piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari prevede tre step tarati sulla misura dell’incidente ma soprattutto sulla distanza dal territorio italiano: entro 200 km dai confini nazionali, tra 200 e i 1.000 e in territorio extraeuropeo. “Distanze indicative – spiega il direttore Pernice nel quartier generale della gestione delle emergenze – con una valutazione degli scenari collegata a condizioni meteo, alla direzione e forza del vento, a modelli matematici di dispersione atmosferica, ad eventuali precipitazioni e naturalmente collegata alla magnitudo dell’evento. Se la radioattività è minima potrebbe non essere necessario alcun intervento, diversamente c’è tutta una scala di azioni che entrerebbero in funzione: dagli interventi personali entro i 200 km come abbiamo detto a quelli sul territorio con le stesse indicazioni che furono date per il disastro di Chernobyl, quindi evitare verdure a foglia larga, latte, o la protezione del nostro patrimonio zoootecnico”.
Il primo step, quello a più alto rischio, è quello più improbabile per l’Italia che non ha sul suo territorio nessun impianto nucleare ed entro la distanza dei 200 chilometri solo alcune centrali in Slovenia, Svizzera e Francia. “In Italia siamo ancora nella fase di disinstallazione delle quattro ex centrali di Trino, Caorso, Latina e Garigliano che non è ancora conclusa per le difficoltà nella gestione dei rifiuti e delle scorie in assenza di un deposito unico nazionale. Dalla distribuzione delle centrali in Europa è evidente che la fase di emergenza uno è assai improbabile. E tuttavia, ovviamente, il piano la prevede nei dettagli anche perchè una eventuale esposizione della popolazione potrebbe derivare anche da trasporto di materiale”. Mai dovesse accadere, i cittadini riceverebbero indicazione di rimanere a casa, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo, da poche ore a un massimo di due giorni. E poi istruzioni specifiche per le scuole e indicazioni per la iodioprofilassi, con l’obiettivo di proteggere la tiroide evitando l’assorbimento di iodio radioattivo, ma solo per alcuna fasce di popolazione: i bambini e i ragazzi, gli adulti fino a 40 anni e le donne incinte o che allattano. Ma solo per poche ore, non oltre le 8 ore dall’eventuale esposizione. Lo iodio stabile sarebbe distribuito su indicazione del ministro della Salute nelle aree interessate.
Nel secondo step, quello più adattabile alla situazione attuale, l’intervento sarebbe invece limitato al blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure fresche, frutta, carne, latte) e a misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico. In caso di incidenti a siti nucleari extraeuropei le uniche precauzioni riguarderebbero la trattazione di materiali in transito o provenienti da quei luoghi.
Il sistema di monitoraggio è continuo, h24, con le 60 centraline della cosiddetta rete Gamma, collegate al sistema di monitoraggio dell’Arpa, che rilevano eventuali presenze di valori anomali. I dati vengono elaborati e inviati alla piattaforma di controllo europeo che li mette in asse con quelli degli altri Paesi. “Quando oggi si dice che la situazione è sotto controllo nonostante dalle centrali ucraine non si riesca ad avere informazioni attendibili e puntuali – spiega ancora il direttore di Isin – è perchè il sistema di controllo europeo non ha rilevato alcuna anomalia significativa. Quelle, ad esempio, che sono state segnalate in Ucraina sono rimaste circoscritte a quel territorio e la causa è stata individuata nella circolazione di mezzi pesanti che sollevano il materiale radioattivo seppellito sotto terra. Non sembra peraltro che le forze armate russe abbiano intenzione di danneggiare gli impianti che garantiscono efficienza ai sistemi di sicurezza”.
In caso di qualsiasi tipo di allarme da parte delle centraline e dei sistemi di valutazione scatterebbe il sistema di emergenza gestito dall’Isin insieme al dipartimento di Protezione civile a cui spetta anche la classificazione del tipo di emergenza. Il piano prevede anche l’eventuale rientro in sicurezza di cittadini italiani interessati all’estero da esposizione a materiale nucleare o radioattivo.
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