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Lo scontro sulle armi tra Giuseppe Conte e Mario Draghi può costare carissimo all’Italia, che rischia di non poter concorrere al ruolo di segretario generale della Nato che le spetterebbe nel 2023.
«Il raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari entro il 2028, come annunciato dal ministro della Difesa, ha il sapore di un compromesso per evitare problemi di tenuta del governo. L’Italia in questo modo arriverebbe a questa soglia forse entro sei anni quando invece le esigenze potrebbero richiederlo prima e nel frattempo sarebbero cambiati almeno due governi. È una posizione che rischia di minare l’affidabilità e la credibilità dell’Italia sia a livello dell’Alleanza Atlantica sia a livello dell’Unione Europea».
Lo afferma all’Adnkronos il generale di Corpo d’Armata in riserva Giorgio Battisti, presidente del Dipartimento militare del Comitato Atlantico italiano. Rispetto alla posizione dell’ex premier Giuseppe Conte, Battisti sottolinea di non voler entrare nel merito della «diatriba politica» ma «è chiaro che questi sono argomenti legati alle prossime elezioni del 2023». «Il fatto è che una questione di carattere ideologico-politico porta conseguenze tecnico-militari e diplomatiche e di politica internazionale», aggiunge. «Quasi tutti i Paesi occidentali compresa la Germania, che è sempre stata il faro delle nazioni più pacifiste dell’Europa hanno deciso di incrementare il proprio budget della difesa in pochi anni – aggiunge – Se non si raggiungono gli stessi standard operativi di efficienza e di modernità della maggior parte dei paesi Nato, che hanno già raggiunto il limite del 2% e in alcuni casi, come la Grecia e la Francia, lo hanno anche superato, noi rischiamo di avere inferiori capacità rispetto a questi paesi e di diventare di conseguenza un peso nell’economia generale dell’Alleanza atlantica: dovrebbero sostenerci per quelle carenze militari che sono dovute a questa dilazione del 2%, ammesso poi che si raggiunga nel 2028».
«Questo può comportare anche una difficoltà nel poter avanzare una candidatura italiana per il prossimo segretario generale della Nato che sarà scelto dai paesi dell’Alleanza atlantica nel 2023 – sottolinea – Inoltre rispetto alla possibilità paventata dall’Ucraina che l’Italia sia uno dei paesi garanti del cessate il fuoco rischiamo di non avere sufficiente peso e credibilità per poter ambire a questa posizione». Infine, prosegue, «non dimostriamo una credibilità nel volere rispettare l’accordo preso al summit Nato del 2014 nel Galles di arrivare a livello del 2% del pil per le forze armate». Il generale sottolinea che «da un punto di vista tecnico non ci dovevano essere queste limitazioni, il 2% del pil andava raggiunto compatibilmente con il piano dell’industria nazionale e con la pianificazione dello Stato maggiore della Difesa, che è quello che dovrebbe definire le priorità di incrementare e migliorare le dotazioni e gli equipaggiamenti delle forze armate». «Quindi non un limite politico ma una pianificazione tecnico-militare legata alle esigenze che le forze armate hanno, anche alla luce di questo conflitto in Ucraina, di difesa antimissile, di capacità di proiezione oltre i confini nazionali, di avere forze di assetti navali che possano proiettarsi anche nell’indopacifico, che è uno degli obiettivi ancorché secondario dell’alleanza atlantica». In conclusione, secondo il generale Battisti andava evitato che «il posizionamento ideologico-politico legato alle prossime elezioni condizionasse il miglioramento delle capacità operative di tutte le forze armate».
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