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Che la Cina stia fornendo collaborazione militare alla Russia è tutto da provare. Che Pechino stia operando da backdoor valutaria e finanziaria per l’economia sotto stress di Mosca, invece, è una certezza. Non solo la Pboc ha raddoppiato dal 5% al 10% la banda di oscillazione del cross fra yuan e rublo, mossa che ha il suo più recente e significativo precedente nell’innalzamento del 2% del range sul dollaro del 2014 ma, soprattutto, le autorità cinesi hanno girato la testa dall’altra parte di fronte al diluvio di depositi in yuan piovuto sulla banche russe dopo la loro estromissione da SWIFT. E, soprattutto, dopo l’innalzamento del tasso di interesse riservato ai clienti in valuta cinese: a fronte di un 8% per i depositi in dollari a tre mesi e di un 7% per quelli in euro, chi deposita yuan si vede riconosciuto uno stellare 21%. Il tutto con due dei principali istituti russi, Sberbank e Alfa Bank, che hanno già annunciato la loro volontà di utilizzare il sistema cinese UnionPay come alternativa a Visa, Mastercard e American Express.
Ma qualcosa scricchiola in Cina. E i timori cominciano ad andare al di là dei tonfi azionari di Hong Kong o dell’indice Golden Dragon del Nasdaq, quest’ultimo crollato la settimana scorsa del 18% (livello mai toccato nemmeno nel 2008): questi due grafici
Andamento dei controvalori dei prestiti per mutui immobiliari in Cina
Fonte: Bloomberg
Andamento delle vendite dei primi 10 gruppi immobiliari cinesi
Fonte: Bloomberg
mostrano infatti come l’esiziale settore immobiliare sia ben lungi dall’essere uscito dalla stato di crisi generato dal quasi default di Evergrande. E già oggi una simile dinamica pare mettere a forte rischio il 5,5% di crescita previsto dalle autorità per il 2022. La prima immagine mostra come per la prima volta da 15 anni a questa parte, ovvero da quando viene tracciata la serie storica, i prestiti legati ai mutui immobiliari per aziende non finanziarie abbiano segnato andamento negativo, fermandosi a febbraio a 505 miliardi di yuan da 1,1 trilioni di un anno prima. Più in generale, il mese scorso le banche hanno erogato prestiti per 1,2 trilioni di yuan (194 miliardi di dollari) contro i 4 trilioni di gennaio. Insomma, netto rallentamento dell’espansione creditizia. Cui si unisce la rotta da kamikaze delle vendite per i principali operatori immobiliari cinesi, come mostrato dalla secondo immagine.
Ma non basta. Questo altro grafico
Controvalori di detenzioni estere di titoli di Stato cinesi
Fonte: Bloomberg
mostra come gli investitori stranieri stiano scaricando obbligazioni cinesi su controvalori record: a febbraio, qualcosa come 35 miliardi di yuan in titoli di Stato del Dragone sono stati venduti. Si tratta della sell-off più grande di sempre a livello mensile e il primo trend di riduzione dal marzo 2021. E pesando la Cina per il 13% dei 643 miliardi di riserve estere russe congelate dalla sanzioni, i radar del mercato cominciano a prezzare un possibile sviluppo di largo raggio. Anche perché il diavolo si nasconde sempre nei dettagli. Il sentiment negativo di mercato verso assets cinesi alla fine è riuscito a penetrare la corazza dello yuan forte, tanto che la valuta cinese onshore venerdì scorso si è deprezzata dello 0,5% intraday, il peggior risultato giornaliero da 6 settimane. Se per caso il virus dovesse portare a una paralisi dell’export cinese, la sell-off sulla valuta non potrebbe che peggiorare.
E come mostra questo grafico,
Andamento dei controvalori delle riserve monetarie estere cinesi
Fonte: Bloomberg
sempre venerdì le autorità di Pechino hanno reso noto il dato dei depositi interni in valuta estera, il quale a sua volta ha toccato il record assoluto. Tradotto, nonostante tutto la Cina annega nei dollari. Quindi, un possibile intervento della Banca centrale per sostenere l’economia fiaccata dal settore immobiliare in crisi si prefigura come limitato, quantomeno se si vuole evitare una spirale creditizia che mandi totalmente fuori controllo la dinamica dei prezzi. Insomma, per la prima volta dalla crisi finanziaria innescata da Lehman Brothers, la Cina appare veramente in un angolo. O, quantomeno, a un bivio che sperava decisamente di poter evitare. Resta da capire, in tal senso, quanto ci sia di strategico e quanto di reale nel nuovo allarme Covid che ha spedito in lockdown i 17,5 milioni di abitanti di Shenzhen.
Nel primo caso, il rinnovato stato si emergenza si prefigurerebbe come una sorta di moratoria sui consumi che operi da congelatore dell’inflazione e del credito, in modo da creare spazio di manovra supplementare (e artificiale) per interventi mirati della PBOC, qualcosa che vada al di là del mero intervento sui requisiti di riserva bancari. Se invece ci trovassimo di fronte davvero a una situazione sanitaria destinata ad andare fuori controllo, come testimonierebbe la chiusura della fabbrica di iPhone di Foxconn, il blocco delle esportazioni e delle forniture globali potrebbe scaturire da un lockdown nel terminal portuale di Shenzhen potrebbe davvero mettere alla fame molti mercati. E portare a un’immediata prezzatura di totale sconnessione della supply chain che vedrebbe il tasso inflazionistico europeo e statunitense volare in prospettiva di doppia cifra entro il terzo trimestre. Forse prima. Insomma, una colossale partita a scacchi.
Che spiegherebbe in parte la mossa a sorpresa degli Usa di coinvolgere direttamente la Cina in un’azione diplomatica verso la crisi ucraina: di fatto, studiare le mosse del nemico da vicino, al fine di essere pronto a reagire. Una volta capite le vere intenzioni e le reali criticità. E queste due immagini
Immagine del rogo al centro logistico di Carrefour a Taoyuan
Fonte: Taiwan News
Immagine del rogo al centro logistico di Carrefour a Taoyuan
Fonte: Taiwan News
paiono calare un simbolico carico da novanta sul tavolo di questo Risiko geo-finanziario. Si tratta dell’enorme rogo divampato questa mattina nel centro di logistica del colosso francese della grande distribuzione, la francese Carrefour (ottavo gruppo al mondo) nel Yangmei District della città settentrionale di Taoyuan. A Taiwan. Al momento le autorità non hanno reso noto la natura dell’incendio, il quale ha richiesto per essere domato qualcosa come 23 autopompe, 8 cisterne e oltre 100 vigili del fuoco.
Essendo da giorni Taiwan rientrata di prepotenza nel dibattito geopolitico, ritenuta da alcuni il prossimo hotspot di crisi mondiale e al centro di una controversa visita di una delegazione statunitense guidata dall’ex numero uno del Joint Chiefs of Staff, Mike Mullen e dall’ex segretario dio Stato, Mike Pompeo, le letture dietrologiche cominciano anch’esse a divampare. Soprattutto, stante la nazionalità dell’eventuale bersaglio: quella Francia che vede il proprio presidente particolarmente impegnato in un continuo filo diretto con Vladimir Putin. Attenzione allo strabismo diplomatico, l’epicentro reale rischia di essere più a Est di Kiev.
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