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Giovanissimi, alcuni di leva e in prima linea senza addestramento, per lo più provenienti dai posti più sperduti del Paese. I soldi stanziati per l’ammodernamento delle forze armate russe «rubati e investiti in yatcht», dice l’ex ministro degli Esteri Kozyrev
Il più giovane di quelli identificati fino ad ora aveva compiuto diciott’anni. David Arutyunyan è morto nella regione del Donbass, colpito da una scheggia. Uno dei tanti ragazzi russi della cosiddetta generazione Putin mandati al macello in Ucraina
secondo testimonianze sempre più frequenti raccolte nelle città d’origine di questi militari inesperti.
Alcuni erano addirittura di leva
, 12 mesi di naja nella quale si impara a malapena a salvarsi dalle angherie dei «nonni». Tanti altri che combattono attorno a Kiev, davanti a Mariupol, a Kharkiv sono tecnicamente «professionisti», ma questo vuol dire solo che durante il loro anno di servizio o alla fine della leva sono stati convinti a firmare per rimanere nell’Armata russa. Però non hanno avuto alcun addestramento particolare e sono subito finiti nei battaglioni impegnati nelle «manovre» che, secondo la versione che il Cremlino ha ripetuto per mesi, non sarebbero mai sfociate in un’invasione. E invece da un giorno all’altro si sono trovati oltrefrontiera a tener testa a reparti ben addestrati e sicuramente molto meglio armati.
David stava cercando di soccorrere un compagno dopo che il loro mezzo blindato era stato colpito. Veniva da Kyakhta, a sud del lago Bajkal, non lontano dal confine con la Mongolia. Anche Ilya Kubik aveva 18 anni e veniva dalla città di Bratsk, in Siberia.
Poi il diciannovenne
Anatolij Torsunov, dalla regione di Perm; e il coetaneo Aleksej Kuzmin, di Magnitogorsk, ai piedi degli Urali. Aleksej Martynov che pure era originario della Buriatiya, come David. Decine e decine di nomi che emergono man mano che i corpi tornano a casa e i genitori organizzano i funerali.
Sono nati quando già stava tramontando l’idea di una Russia democratica e liberale, sorta sulle ceneri dell’Unione Sovietica. Le speranze suscitate dalla rivolta popolare contro i golpisti del 1991 si erano spente con la grande povertà e lo sfacelo degli anni seguenti. Putin era salito alla ribalta nel 1999 quando da primo ministro riaccese l’orgoglio russo con la sua campagna contro i terroristi ceceni. «Li inseguiremo fino dentro al cesso», promise. E poi piegò la Cecenia radendo al suolo Grozny.
La Russia di questi ragazzi è un Paese dalla libertà limitata, con una democrazia che per definizione è «guidata dall’alto», come teorizzò uno dei consiglieri del presidente nei primi anni Duemila. Una nazione orgogliosa e potente sulla carta ma piena di marciume. Chi può evita come la peste il servizio militare perché sa che nelle caserme succede di tutto; che i ragazzi in tempo di pace vengono spediti in posti assurdi a sopravvivere con misere razioni alimentari. Il poderoso ammodernamento delle forze armate per il quale sono stati spesi miliardi di euro è in buona parte avvenuto solo formalmente. Ha spiegato l’ex ministro degli esteri Andrej Kozyrev: «I quattrini sono stati in buona parte rubati e sono finiti investiti in yacht ormeggiati a Cipro».
Nell’esercito finiscono soprattutto i ragazzi poveri, quelli che vengono dai posti più sperduti del Paese e che non hanno alternative. Come Yegor Pochkaenko di Belogorsk nella Siberia orientale che è morto il giorno prima di compiere 19 anni.
Ai comandi mancano uomini e così si ricorre a qualunque mezzo per far salire i numeri anche se i generali sanno benissimo che giovani così inesperti servono a poco. Ufficialmente i militari di leva non dovrebbero andare a combattere nella guerra che non è guerra ma Operazione militare speciale
. Ma anche il Cremlino ha ammesso che «ci sono stati degli errori».
Adesso stanno arrivando i nuovi coscritti, 134.500 che prenderanno il posto di quelli che stanno per congedarsi. E’ tra questi che i comandi pescano per rimpiazzare le perdite. In fin dei conti, si dice, sono militari che hanno fatto un anno di naja. Poi si tenta di arruolare immigrati dall’Asia centrale che non hanno lavoro nelle grandi città. Varie organizzazioni promettono la cittadinanza russa in cambio di tre mesi sotto le armi.
Trecento giovani dell’Ossezia del sud che erano già finiti in Ucraina hanno disertato e sono tornati a casa. Il comitato delle madri dei soldati che esiste dai tempi della guerra in Afghanistan degli anni Ottanta tenta di assistere le famiglie. Spesso riesce ad avere notizie dei caduti dagli ucraini perché i russi tendono a lasciare sul campo i corpi. Quelli recuperati, in parte finiscono in obitori bielorussi per non creare troppo allarme in patria.
Ma per ora non sembra che il ritorno delle bare stia incrinando la fede della maggioranza dei russi nel loro capo. Il consenso di Putin è salito ulteriormente, fino all’83%, secondo sondaggi indipendenti. E molti genitori si dicono orgogliosi dei loro ragazzi che combattono per la sacra patria: «E’ morto per noi. Dobbiamo continuare fino alla vittoria», ha detto alla radio Deutsche Welle Natalya, la madre del sergente Evgenij ucciso nella battaglia per l’aeroporto di Hostomel, vicino Kiev.
1 aprile 2022 (modifica il 1 aprile 2022 | 16:29)
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