Ven. Nov 1st, 2024

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di Monica Guerzoni

«Altissima preoccupazione» del Pd per le mosse dell’alleato M5S

A Palazzo Chigi nessuno si aspettava una simile escalation dei toni da parte di Giuseppe Conte. Nessuno prevedeva che Mario Draghi, tornato da Napoli ancora commosso per le lacrime dei piccoli profughi ucraini incontrati al rione Sanità, a sera sarebbe salito di corsa al Quirinale. E adesso la situazione sta nelle parole di un ministro, angosciato per le sorti del governo: «Non so se Conte potrà rimettere il dentifricio nel tubetto».

A portare l’ex capo dell’esecutivo a un passo dallo strappo irreparabile, allarmando le cancellerie europee, è stata la mossa astuta di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, unico partito di opposizione, ha scelto di muoversi in asse con il governo. Ha presentato un ordine del giorno sulle spese militari costruito sulle parole di Draghi e si è accontentata che il testo fosse accolto dal governo, senza chiedere che venisse messo ai voti in commissione. In questo modo FdI ha tolto ai 5 Stelle la possibilità di bocciare l’aumento delle spese militari, per poi votare in Aula la fiducia al decreto Ucraina. Una manovra parlamentare che ha scompaginato i piani di Conte e lo ha spinto a irrigidire la posizione con Draghi. Al punto che Enrico Letta ha voluto condividere con i suoi ministri e anche con il premier la «preoccupazione altissima» del Pd per la nuova strategia del Movimento.

Nel faccia a faccia a Chigi, la totale assenza di feeling tra il premier e il suo predecessore è esplosa come mai prima. E adesso il sospetto che aleggia nelle stanze della presidenza del Consiglio è che il leader del M5S abbia deciso di portare il Paese al voto anticipato. Magari non subito, perché con la guerra di Putin che fa strage di civili uno strappo così radicale
non sarebbe compreso dagli elettori, ma al più tardi nel mese di giugno.

L’incontro-scontro è stato così serrato e teso che, dopo 90 minuti, l’ex presidente della Bce ha fatto fatica a spiegare ai suoi cosa abbia in mente Conte. Anzi, pare proprio che il premier non lo abbia compreso e che non abbia nemmeno chiaro se il M5S voterà o meno il Documento di economia e finanza. E questo perché Draghi appare orientato a quantificare nel Def l’impegno economico per gli armamenti. «Per arrivare al 2% mancano 15 miliardi, un picco notevole», ha avvertito Conte. È stato il momento più aspro del «duello», perché il premier, a proposito di coerenza, ha messo sul tavolo gli stanziamenti del passato e ha snocciolato a Conte i numeri del bilancio della Difesa quando a Chigi c’era lui: «Nel 2018 si registravano circa 21 miliardi, mentre nel 2021 se ne registravano 24,6…». Insomma, i governi gialloverde e giallorosso hanno aumentato le spese militari del 17%, assai più di quelli precedenti e successivi. Com’è finita? Per dirla con Conte, «ognuno è rimasto sulle sue posizioni».

Forte della votazione che lo ha riconfermato leader della più grande forza del Parlamento l’avvocato non vuole fare passi indietro. Insiste su emergenza economica, caro-bollette e rischio inflazione e sostiene che «Draghi non ha dato risposte chiare, anche perché a escluso uno scostamento di bilancio». Il problema è che il premier non arretra di un millimetro. Per il capo dell’esecutivo l’aumento tendenziale fino al 2% del Pil delle spese militari, nel mezzo di una guerra sanguinosa che vede l’Italia schierata con l’Ucraina, non è negoziabile. E se una forza di governo lo disattende, rompe il patto che tiene insieme la maggioranza. Ma una cosa, a quanto assicurano a Palazzo Chigi, è certa: non sarà Draghi a gettare la spugna. Non è salito al Quirinale per dire al capo dello Stato che è pronto a dimettersi, perché l’ora è grave e «questo è il tempo della responsabilità».

30 marzo 2022 (modifica il 30 marzo 2022 | 07:59)

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