Una mattina come le altre, Akito si trova nel quartiere di Shibuya per andare a trovare la sorella in cura nell’ospedale di zona. Mentre attraversa uno degli incroci viene investito da una vettura di passaggio. Contemporaneamente un attacco terroristico sovrannaturale imprigiona il quartiere di Tokyo in una bolla spaziotemporale. Akito sta per esalare il suo ultimo respiro quando lo spirito di un investigatore specializzato nel paranormale, anche lui appena privato del suo corpo fisico come tutta la popolazione nei dintorni, s’impossessa di lui impedendo a entrambi di morire. Ora abbiamo un giovane agile e coraggioso con i poteri, la saggezza e la forza spirituale di un navigatissimo medium.
Benvenuti a Tokyo, Shibuya, e benvenuti sulla recensione di Ghostwire Tokyo, nuovo action horror firmato Tango Gameworks.
Confusione tecnica
Ghostwire Tokyo emana un carisma naturale. Il sistema di combattimento è colorato e avvincente, il folklore shinto, poi, ha una presa particolare sul pubblico occidentale, e noi di Multiplayer non facciamo certo eccezione. Inoltre questa Shibuya piovosa e marcescente sembra subito avere tutte le carte in regola per trasformarsi in un campo di battaglia a dir poco perfetto. L’inizio del gioco funzione alla grande, e dopo le immancabili chiacchiere iniziali si entra subito nell’azione, prendendo confidenza con i comandi ed esplorando il percorso prevalentemente lineare sul quale si snoderà l’intera introduzione.
Nonostante il divertimento nell’affrontare i primissimi nemici del gioco, prevalentemente spettri in giacca e cravatta in mezzo a studentesse senza testa con spettrali doti da karateka, non riusciamo però a concentrarci del tutto per colpa delle performance del gioco. Non abbiamo problemi a chiudere uno o due occhi su un frame rate ballerino, sempre se il gameplay merita, ma lo screen tearing che affligge almeno quattro delle sei impostazioni grafiche della versione PlayStation 5 di Ghostwire Tokyo è davvero molto faticoso.
Per un gioco console, abbiamo passato fin troppo tempo a provare quale settaggio fosse il migliore tra quelli proposti, scoprendo amaramente che anche i due con il V-Sync attivo, funzione che dovrebbe risolvere il tearing, non riescono comunque a eliminarlo del tutto. Ma a questo punto perché non mettere un menù avanzato solo per esperti come su PC? Soltanto dopo aver trovato l’impostazione migliore per noi, abbassato il motion blur e preso confidenza con le peculiarità del motore grafico, siamo finalmente riusciti a immergerci totalmente nel gioco, che nel frattempo iniziava a promettere grandi cose, introducendo poteri e personaggi in un’avvincente alternanza tra interni ed esterni, pause horror e combattimenti sempre più impegnativi.
L’apice di questo segmento è la sua duplice rivelazione finale: emergono importanti dettagli di trama e si spalancano davanti a noi le porte di questa convincente ricostruzione di Shibuya, ammantata di nebbie e misteri.
Il volto di un open world
Con le idee più chiare in testa e liberi di esplorare a piacimento, iniziamo a sentirci finalmente a nostro agio. Alcune zone di Shibuya sono ancora avvolte da una nebbia letale, ma questa potrà essere eliminata purificando gli altari torii sparsi per la metropoli. Una volta purificato un altare, la nebbia si diraderà e sulla mappa verranno visualizzati i luoghi chiave e le immancabili missioni secondarie nei paraggi. Anche se nei primi capitoli di gioco ci si sposta prevalentemente a piedi, ben presto verranno introdotte nuove opzioni, tra queste anche dei demoni volanti ai quali potremo agganciarci psichicamente per essere trascinati velocemente verso di loro, posizionati sempre nei pressi di qualche palazzo su cui poi atterreremo con agilità.
Lo spostamento tramite demoni è verticale, ma grazie a uno dei poteri che potremo acquisire, lanciandoci successivamente nel vuoto tenendo premuto il pulsante apposito potremo volare per tragitti sempre più lunghi, man mano che saliremo di livello. Ma per quanto sia bello poter volare per brevi tragitti, visti i continui spostamenti a terra e alcune escursioni verticali non avrebbe fatto male nemmeno un sistema di parkour più avanzato. Naturalmente, per chi ha fretta ed è poco interessato all’esplorazione, c’è il più classico dei fast travel che teletrasporterà in pochi istanti in ogni zona della mappa.
I gatti di Shibuya
Immergersi nella Shibuya di Ghostwire Tokyo è estremamente affascinante. Le zone sono desolate, ma conservano bagliori della vita passata. Per le strade sono ancora presenti vestiti e oggetti personali delle persone poi evaporate dopo l’attentato, nei locali la musica continua ad animare feste oramai inesistenti e le luci dei lampioni in questa notte perenne sono nient’altro che riflettori per diaboliche cantilene. Oltre alle anime rimaste imprigionate, le stesse che spesso ci offriranno missioni secondarie, e oltre i nemici, quel che rimane di Shibuya sarà popolata prevalentemente da gatti magici e tanuki in missione. I gatti di Ghostwire Tokyo sono prevalentemente commercianti, sono loro infatti che porteranno avanti il business dei classici store di quartiere, dove comprare cibo e altri oggetti, e sempre loro gestiranno diverse bancarelle specializzate. Alcuni gatti, in cambio di specifici oggetti tradizionali, regalano upgrade, oggetti speciali e nuove personalizzazioni per il personaggio. Trovare questi oggetti misteriosi sarebbe potuta essere un’attività divertente, ma non c’è molto da fare oltre che raggiungere il punto sulla mappa nel quale questo si trova e riportarlo al gatto interessato.
Fantasmi inquieti
Le missioni secondarie sono potenzialmente molto più interessanti, e specialmente all’inizio lasciano ben sperare. Presto però appare chiaro che la qualità non è garantita, fluttua in modo violento tra storie di fantasmi effettivamente interessanti, e situazioni che richiedono azioni piuttosto banali per essere risolte.
Un gioco come Ghostwire Tokyo potrebbe contenere al suo interno frammenti di gameplay di ogni tipo, un palazzo abbandonato potrebbe trasformarsi in un Silent Hill tascabile e un parcheggio sotterraneo in un Resident Evil da mezz’ora, ma l’occasione non è stata sfruttata e per riempire la grande mappa si è finito per annacquare disastrosamente ogni attività. Alcune missioni principali ti portano in appartamenti abbandonati effettivamente disturbanti, sulle tracce di bambole funerarie che fanno legittimamente paura, altre prediligono un horror più grottesco tipico del genere, ma pochissime di queste rimangono in mente e meritano di essere raccontate.
Un cast all’altezza
Decisamente meglio va con le missioni principali, queste sì efficaci nel ritmo, nelle sorprese e nella loro estensione. Ma più di ogni altra cosa, proprio come avevamo intuito nelle prime ore con il gioco, è la linearità il loro più grande punto di forza. Niente perdite di tempo, raccolte di anime e inutili purificazioni in sequenza che non portano a nulla, ma azione e mistero, nemici nuovi e boss da sconfiggere.
Il cuore di Ghostwire Tokyo è di ottima fattura anche se da perfezionare, il contorno è invece un inutile orpello che svilisce anche quel che innegabilmente c’è di buono. Ci sono però dei momenti, per esempio tra il quarto e il quinto capitolo del gioco, dove per procedere nella trama saranno richiesti un minimo di altari torii purificati, dove insomma il contorno diventerà contenuto principale cercando di allungare il brodo anche se in fondo non ce ne sarebbe nemmeno bisogno: per finire il gioco godendosi il meglio delle side quest, e sbloccando così la maggior parte dei poteri, sono necessarie circa 25/30 ore.
Urban Ninja?
Anche la crescita del sistema di combattimento non è graduale come dovrebbe e subisce diversi intoppi che ne pregiudicano la freschezza e la dinamicità. Manca quel ritmo che avevano God Hand e Killer 7, per nominare due titoli ai quali ha lavorato il fondatore di Tango Gameworks Shinji Mikami e che in alcuni aspetti ricordano Ghostwire Tokyo, e manca sentirsi sempre più potenti.
La trinità composta da incantesimi di vento, acqua e fuoco funziona perfettamente, siamo dei fantastici medium da combattimento, ma ci sono pochissime doti da ninja che avrebbero reso gli scontri più dinamici e divertenti. Il bestiario del gioco è ottimo, tende però sempre all’accerchiamento, non a caso negli scontri più tesi saremo teletrasportati in una sorta di arena che non permette nascondigli, dove si è costretti a un lento arretramento mentre si colpiscono i nemici evitando contemporaneamente i loro attacchi. Il riposizionamento, e la conseguente ricerca di munizioni, sono processi lenti che lasciano ingiustamente alla mercé degli avversari.
Per tenere alti i proiettili magici di ogni potere elementale dovremo affidarci alla parata attiva e all’estrazione del nucleo dei nemici indeboliti, colpo finale che richiede del tempo per funzionare ma che ricompensa con munizioni e punti esperienza extra; se una volta iniziata l’estrazione questa non viene terminata, il nemico torna in vita con l’energia ripristinata.
Colpo in canna
Le munizioni sono un problema nell’open world perché i caricatori possono essere riempiti solo in due modi: uccidendo i nemici, che non ne rilasciano nemmeno in grandissima quantità, e colpendo oggetti posseduti tipo secchi dell’immondizia se non intere autovetture dall’aspetto particolare, violacei e intermittenti come dei bug grafici, che una volta distrutti rilasceranno la preziosa risorsa.
Questo cosa comporta? Che spesso e volentieri si cammina per Shibuya solo per questo motivo, e colpire con attacco corpo a corpo gru e cabine telefoniche per cinque minuti a seguito di ogni scontro non è proprio quel che potremmo definire divertente. Dopo le missioni principali, e quelle secondarie più horror e strutturate, la cosa più divertente di Ghostwire Tokyo sono i combattimenti per le strade della città. Gestire gli attacchi volanti di agghiaccianti spettri alati mentre si è circondati da ectoplasmi che si fanno sempre più vicini, inquietanti e letali, e farlo tra i vicoli elettrici e i templi antichi di questa Shibuya distorta e immateriale, è un’esperienza unica e avvincente. Anche Ghostwire Tokyo nasconde delle sorprese, lo sarà per esempio imbattersi per la prima volta nelle grandi processioni di spettri e demoni, chiamate Hyakki Yako, che nelle notti più buie illuminano la città, e ne spezzano il silenzio, con le loro iridescenze e le angoscianti litanie. Attenti a non avvicinarvi troppo!
Coppia esplosiva
Eppure nessuno può toglierci dalla testa che Ghostwire Tokyo non sarebbe dovuto essere un open world. Quasi tutti i suoi problemi nascono dal voler copiare una struttura di gioco già di suo logora senza nemmeno comprenderne i potenziali punti di forza. Il risultato è un gioco molto buono, annacquato da contenuti che di fatto non possono essere considerati più tali, perché non portano a nulla e non danno nulla in cambio. Nel momento in cui dopo quindici ore ci inviti a purificare altri altari torii, mentre contemporaneamente me ne fai spuntare sedici nuovi sulla mappa, noi utenti che emozioni dovremmo provare, forse eccitazione? E per cosa, una passeggiata e due gesti sul touchpad del DualSense? Uno il biglietto lo paga per il mistero, l’ottima sinergia tra Akito e K.K. che spesso darà vita a dialoghi di prima qualità, per i fantasmi strani, per gli interni spettrali, per il sistema di combattimento nonostante i suoi limiti; è su questi elementi che avrebbero dovuto investire tempo e budget. La scelta indispettisce perché sono tutte cose presenti in Ghostwire Tokyo, ma sono spesso nascoste sotto una montagna di nulla. Per divertirti davvero devi attendere che emergano, o sbatterti per portarle in superficie.
Problemi tecnici a parte…
Graficamente il gioco si presenta bene, l’atmosfera resta sempre intatta, ma spesso il motore grafico non sembra molto a suo agio, specialmente se deciderete di giocare con il ray tracing attivo, qui abbastanza importante viste le peculiarità della città.
Molto buono l’uso del DualSense che trasmetterà vibrazioni diverse a seconda del potere in uso, fornendoci anche utili feedback durante il combattimento. Il pad di PlayStation 5 non offre però la stessa soddisfazione/precisione quando utilizzato come touchpad, non a caso quando questo sarà richiesto si avrà anche la possibilità di eseguire il rituale automaticamente.
Di ottima qualità anche il sonoro che sa quando rimanere in silenzio e quando invece è necessaria la giusta dose di adrenalina. È anche possibile sbloccare e successivamente ascoltare canzoni di vario genere mentre si gira e si combatte per la città: la selezione è decisamente buona ed è composta da brani moderni e altri più tradizionali, che insieme riassumono perfettamente le diverse anime del gioco. Per qualche tipo di problema tecnico, anche cambiando modalità grafica sulla nostra PlayStation 5, il gioco veniva sempre visualizzato a 1080p, ve lo diciamo anche se probabilmente è un bug che verrà risolto forse anche prima del debutto ufficiale del gioco.
Commento
Ghostwire Tokyo è un buon titolo nascosto sotto un open world mal pensato. Eppure visto il gran numero di potenzialità inespresse questo gioco meriterebbe un seguito più di Evil Within, di cui tra l’altro doveva inizialmente essere il terzo capitolo. L’originale atmosfera, la storia, il cast e le potenzialità del sistema di combattimento tengono in piedi una struttura di gioco appesantita inutilmente da un eccesso di contenuti superflui.