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Foxconn, che si trova nell’area di Shenzhen, ha oltre un milione di dipendenti: tutta la nostra tecnologia viene assemblata in quell’area del mondo
Stop alla fabbrica mondiale della tecnologia: a causa della nuova emergenza Covid-19 nell’area di Shenzhen, si è bloccata anche la Foxconn, la più grande catena di assemblaggio di prodotti sulla Terra. Oltre un milione di operai, decine di migliaia di robot androidi che non si fermano mai, tutti pronti a mettere insieme la tecnologia che ci ha preservati dall’isolamento da lockdown e che ha permesso al mondo di continuare a lavorare da casa.
La Foxconn – in realtà fondata dal magnate di Taiwan Terry Gou — è il più grande datore di lavoro privato della Repubblica popolare cinese e divenne tristemente nota qualche anno fa come la “fabbrica dei suicidi” per l’impressionante serie di operai che, non reggendo le condizioni di lavoro da prima rivoluzione industriale, preferivano la morte.
La società ha come cliente privilegiato la Apple ma in realtà qui si assembla tutto: laptop, computer, elettronica di consumo di qualunque genere. Qui venivano assemblati i Blackberry che hanno avuto il loro ruolo nella rivoluzione della finanza occidentale entrando nelle tasche di top manager e banchieri prima di diventare un fenomeno di massa (e poi fallire). Tra i prodotti più diffusi che arrivano nelle nostre case da questo luogo del mondo ci sono: i Kindle Amazon, le Playstation della Sony, la Xbox della Microsoft e gli smartphone Xiaomi. Ma i principali prodotti sono iPad, iPod e iPhone. Per ora si parla di uno stop di una settimana anche se la stessa Foxconn ha fatto sapere che «la data di ripresa della fabbrica deve essere comunicata dal governo locale».
Una città più che una fabbrica: le strutture occupano una porzione enorme della città di Shenzhen, con annesse abitazioni per gli operai, un po’ come le città fabbrica dell’Ottocento, ma onestamente meno illuminate (come, fuori Milano, il villaggio Crespi D’Adda). Qui e lì si scorgono anche degli spazi per i bambini, parchi giochi, piscine pubbliche. Ma il principio dell’alienazione fordista trova in questo luogo ancora una coltura in cui riprodursi, con poche difese sindacali. E i giovani che arrivano dalle campagne con la speranza di migliorare le proprie condizioni di vita si scontrano presto con stipendi troppo bassi per poter alimentare i propri sogni (circa 100 dollari al mese). D’altra parte, da consumatori, ne siamo tutti in parte responsabili.
Shenzhen è il diretto risultato dell’ossimorica stagione di capitalismo-socialista della Cina: l’area divenne una special economic zone (con particolari condizioni fiscali per attrarre gli investimenti) subito dopo che Deng Xiaping nell’84 fece il suo famoso proclama: andate ed arricchitevi. Non a caso la città si trova a pochi chilometri da Hong Kong e i transfrontalieri qui possono passare avanti e indietro in giornata, anche se ormai della Hong Kong libera e con un doppio regime economico rimane solo l’ombra dopo la stretta cinese. Fino a pochi anni fa la dogana tra Hong Kong e Shenzhen era la muraglia invisibile da superare per poter accedere a google.hk, la versione libera di Google dove si veniva reindirizzati dal territorio cinese. Ora che Shenzhen e anche la Foxconn sono ferme la preoccupazione si sposta sul porto della città, uno dei più grandi della Cina. Già nella tarda primavera dell’anno scorso l’epidemia a Shenzhen aveva bloccato le operazioni portuali e causato un forte picco nei tassi di spedizione globale contribuendo a far salire i prezzi delle merci importate negli Stati Uniti e altrove. La Cina ha cercato da allora di mantenere i porti operativi richiedendo a molti lavoratori di vivere al porto per blocchi di settimane. Ma la politica di tolleranza zero adottata dal Paese, che prevede la chiusura totale delle città più popolose anche solo in presenza di poche decine di casi per fermare la trasmissibilità della variante Omicron, ha generato nei produttori preoccupazioni per un’altra serie di chiusure nelle fabbriche e nei porti cinesi. Eventuali ulteriori interruzioni della catena di approvvigionamento globale arriverebbero così in un momento particolarmente difficile per le aziende, che stanno lottando con l’aumento dei prezzi delle materie prime e delle spedizioni insieme a tempi di consegna prolungati e carenze di lavoratori.
14 marzo 2022 (modifica il 14 marzo 2022 | 11:47)
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