[ad_1]
Dallo scoppio della guerra russa in Ucraina, la Cina è stata più volte interpellata per esercitare il ruolo di mediatore e risolutore nel conflitto che sta scuotendo gli assetti internazionali. Pechino, che tiene aperti i canali della comunicazione diplomatica, ha una postura ambigua sulla guerra nel Paese dell’Europa orientale.
Il dilemma di Pechino
In questo scontro, gli interessi cinesi sono tanti. Pechino si trova davanti a un dilemma: appoggiare l’azione di Mosca, con il rischio di essere trascinata in un lungo conflitto che ravviva lo scontro ideologico della Guerra Fredda, oppure abbandonare la Russia per confermare il ruolo di “potenza responsabile” a cui ambisce.
Nella sua ambiguità, Pechino non abbandona quell’atteggiamento tipicamente cinese di non perdere la faccia e, quindi, la credibilità internazionale. Il concetto di mianzi (largamente inteso come reputazione), non è fondamentale solo nella società cinese, ma anche nelle relazioni internazionali della Cina.
Il fallimento russo del blitzkrieg, l’operazione-lampo e quasi indolore, in Ucraina spinge il leader cinese a rivalutare il valore di quel lungo documento sulla partnership “senza limiti” tra Pechino e Mosca suggellato da una firma a doppia mano poche settimane prima dell’invasione russa nel Paese dell’Europa orientale. Il leader cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin hanno rafforzato la loro amicizia sulla base degli interessi economici e sull’aspirazione condivisa di riscrivere le regole internazionali dell’ordine liberale, più incline ai loro governi.
Ma dalla firma del documento che ha rafforzato la partnership sino-russa sono cambiate molte cose. La Russia è diventata un pariah internazionale e si trova isolata dalle potenze del mondo, che condannano unitamente l’invasione russa in Ucraina colpendo il Paese guidato da Putin con dure sanzioni economiche.
Tuttavia, la vicinanza tra Russia e Cina non è messa – ancora – in discussione. Pechino si è dimostrata ondivaga da quando è scoppiato il conflitto. La Cina continua a non condannare l’invasione russa, abbracciando la narrativa russa dell’“operazione militare speciale” per difendere le popolazioni del Donbass, e rimarca la solidità della relazione sino-russa.
Il Partito comunista cinese, attraverso le affermazioni del premier Li Keqiang e del ministro degli Esteri Wang Yi, ha ribadito in più occasioni che la Cina sostiene il rispetto della “sovranità e integrità territoriale di tutti i paesi, inclusa l’Ucraina”. Ma ha anche posto l’accento sull’importanza del rispetto degli “scopi e principi della Carta delle Nazioni Unite”, nonché sulla reale considerazione delle “legittime preoccupazioni per la sicurezza di tutti i Paesi (chiaro riferimento ai timori di Mosca dell’avanzata della NATO). Pechino, che considera la situazione in Ucraina “sconcertante”, promuove quindi il raggiungimento di un cessate il fuoco attraverso una “soluzione pacifica della crisi”.
Gli interessi bilaterali
Nel promuovere un approccio pacifico, la Cina ha fatto una scelta: ha scelto di non prendere una posizione. Per il gigante asiatico è importante tutelare gli interessi economici e ideologici con la Russia. Ma nel farlo, è stretta, da una parte, dalle proposte dei leader del mondo occidentale di esercitare pressioni affinché Mosca abbandoni la guerra e, dall’altra, dalle richieste della Russia di inviare aiuti economici e perfino militari (arrivate fin dall’inizio dell’invasione). Nonostante il governo cinese abbia smentito le speculazioni degli Usa, non può nascondere la collaborazione sulla difesa tra Russia e Cina che risale a prima dell’invasione in Ucraina.
Quando Pechino condanna le sanzioni internazionali, bollandole come “illegali”, non solo prende distanza dalle misure sanzionatorie adottate nei suoi confronti da Usa e Ue, ma mantiene una porta aperta all’export della Russia. Come sottolineato su Twitter da Alexander Gabuev, analista del think tank statunitense Carnegie Endowment for International Peace, la recente diffusione della notizia sulla richiesta russa di alcuni tipi di hardware militare cinesi è plausibile, dal momento che rientra in un processo negoziale. Gabuev infatti evidenzia come per molti anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Cina è stata il principale acquirente di armi russe.
Il commercio di armi si è fermato negli anni 2000, ma Mosca ha ripreso le sue esportazioni di prodotti bellici verso la Cina nel 2014, dopo l’annessione della Crimea (mai condannata dalla Cina). La ripresa del commercio bilaterale di armi è coincisa con i progressi registrati nell’industria della difesa cinese. Mosca infatti vuole aumentare i guadagni derivanti dall’export in Cina, prima che il gigante asiatico superi nella produzione di armamenti militare la Russia. Superamento che potrebbe avvenire tra i 10 e i 15 anni. Allo stesso tempo, il Cremlino vuole arricchire il suo esercito con tecnologia bellica cinese, in particolare con i droni d’attacco Pterodactyl, prodotti da AVIC.
I rapporti bilaterali sino-russi si sono rafforzati soltanto nell’ultimo decennio, quando i due governi autoritari hanno assunto una postura sempre più anti-americana.
Sul fronte economico Xi e Putin hanno rafforzato la loro intesa grazie ai rapporti commerciali. Mosca è per Pechino uno dei principali fornitori di gas, petrolio e prodotti agricoli. I commerci bilaterali, inoltre, hanno raggiunto la cifra record di 26,4 miliardi di dollari nel periodo gennaio-febbraio, la cifra più alta dal 2010. Il gas russo arriva in Cina – Paese con cui condivide un confine lungo circa 4.200 km – attraverso il “Power of Siberia” e “Power of Siberia 2”. Ma le sanzioni occidentali imposte alla Russia hanno ripercussioni anche sull’economia cinese.
Uno scudo per proteggere le economie dei due Paese e mitigare le sanzioni occidentali è stato individuato nelle transizioni con lo yuan (la valuta cinese) per gli scambi commerciali. Lo scopo è quindi rafforzare il servizio cinese CIPS, alternativo allo SWIFT, e garantire una de-dollarizzazione del sistema finanziario.
Mosca e Pechino sono allineate anche su un altro fronte, ha sottolineato il presidente del Copasir Adolfo Urso al Senato quando ha presentato la Relazione annuale approvata dal Comitato dell’intelligence italiana. Per il numero uno del Copasir è in corso da anni una “guerra ibrida” e il principale terreno di contesa è il mar Mediterraneo. Secondo il senatore “Cina e Russia aspirano alla supremazia, tecnologica ed economica, anche attraverso il controllo delle risorse energetiche e alimentari del Pianeta, dal gas all’acqua, di materie prime, minerali preziosi e terre rare, tutto ciò che serve alla economia digitale ed ecologica che dobbiamo realizzare”.
Quanto pesa la guerra in Ucraina nei rapporti tra Mosca e Pechino
La relazione tra Mosca e Pechino potrebbe però rompersi presto. I loro interessi si contrappongono in Asia centrale, dove la Cina ha avviato progetti infrastrutturali che rientrano nella Belt and Road Initiative. Ma, soprattutto, teme un espansionismo russo nella regione.
L’invasione russa dell’Ucraina spinge la Cina a scontrarsi anche con il principio che regolamenta la sua politica estera. Pechino promuove la “non ingerenza” negli affari interni degli altri Paesi, giocando la carta della risoluzione diplomatica dei conflitti: per la Cina è infatti fondamentale la stabilità internazionale per portare avanti i suoi progetti economici. Il Partito comunista, che ha individuato come obiettivo di crescita nel 2022 solo il 5% del Pil, non può permettersi di avviarsi verso un pantano economico e finanziario, già reso concreto a causa della rigida politica di controllo della pandemia di Covid-19 nel Paese.
Non sorprende nemmeno l’interlocuzione di Pechino con le capitali europee e con i vertici comunitari. La Cina infatti ha mal digerito la sospensione del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), l’accordo di investimento bilaterale Ue-Cina siglato il penultimo giorno del 2020 tra Pechino e Bruxelles e poi congelato lo scorso marzo per le sanzioni e controsanzioni volate tra Cina e Unione Europea.
Xi continua infatti a dialogare con il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz (fu proprio la sua predecessora Merkel a spingere per la firma dell’intesa bilaterale), nella speranza che al CAI sia dato nuovamente ampio respiro e in vista anche del vertice Cina-Ue del 1° aprile.
Washington e Pechino: distanza pacifica
Lo sguardo del Partito comunista cinese si rivolge quindi all’Europa, nel tentativo di mantenere una distanza pacifica con Washington. Pechino, infatti, osserva con cautela l’attenzione statunitense al conflitto in Ucraina, dal momento che la Casa Bianca ha dovuto mettere in secondo piano il “Pivot to Asia”, l’interesse geostrategico verso l’Asia di obamiana memoria. Ma guarda anche con attenzione l’allineamento dei vicini asiatici (Corea del Sud, Giappone e Australia, in primis) agli Stati Uniti nel contenere l’assertività cinese nella regione.
La Cina non può quindi permettersi di farsi trascinare dal Cremlino in una spirale negativa. Pechino, che vuole mantenere vivo il partenariato strategico con Mosca, evitando di essere schiacciata da un occidente unito contro la Russia, dovrebbe comportarsi come vero mediatore. Un percorso tutto in salita e non sempre riuscito. Se Xi si volesse impegnare per influenzare l’amico Putin, dovrebbe ricoprire il ruolo di attore forte ai tavoli multilaterali e ridiscutere con gli Usa il nuovo ordine mondiale che deriverà dalla guerra in Ucraina.
[ad_2]
Source link