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Nelle ultime ore i russi hanno iniziato a distruggere gli impianti di carburante, i magazzini alimentari e i depositi di armi. A Leopoli, per esempio, è stata distrutta una grande base di carburante che dava rifornimento alle truppe ucraine. Appena fuori dalla capitale, invece, è stato distrutto un magazzino di missili ucraini S-300 e Buk per la difesa di Kiev.
Il “nuovo” conflitto
Quello che accade nelle ultime ore dà adito ad alcuni sospetti sulla nuova strategia russa di far male agli ucraini: visto il flop dell’esercito inviato da Vladimir Putin via terra con decine di migliaia di soldati uccisi, sette-otto generali e svariati comandanti, il fronte della guerra si potrebbe spostare sulle strutture militari. Il portavoce del ministero della Difesa di Mosca, Igor Konashenkov, ha affermato che nelle ultime 24 ore le Forze armate russe hanno distrutto 67 strutture militari. Tra queste – ha spiegato il portavoce russo – ci sono due postazioni di comando, tre depositi da campo con armi e munizioni, undici centri per le unità delle Forze armate ucraine e 20 aeree con elevata concentrazione di equipaggiamenti militari. Secondo Konashenkov, inoltre, russi hanno distrutto anche un centro per il deposito dei sistemi missilistici S-300, nel villaggio di Plesetske, 30 chilometri a sud ovest di Kiev.
La doppia scelta di Mosca
In una riunione delle scorse ore, il Cremlino ha fatto il punto della situazione di una guerra che non trova sbocchi favorevoli: gli ufficiali presenti al vertice con il ministro della Difesa, Serghej Shojgu, erano di umore nero e hanno trovato un’unica soluzione comune alle pretese di Putin di vincere una guerra quasi persa e la crisi dell’esercito. L’attacco di Mariupol sembra mettere d’accordo tutti, poi si batterà in ritirata in Donbass. Accanto a questo canto del cigno finale, Mosca vuole distruggere (come ha iniziato a fare) più scorte ucraine possibili dando fuoco ai depositi di munizioni e carburante e, come detto, abbandonare ogni velleità di conquistare Kiev per limitarsi alle regioni più orientali e vicine al confine con la Russia. Su questo punto, però, la sintonia tra gli alti vertici è inesistente. Putin ha accettato la resa nella capitale ma vorrebbe ancora conquistare Odessa.
I dubbi e quella frase di Stalin
Quest’ultima idea, quella del porto sul Mar Nero, è di difficile realizzazione visto che, come abbiamo scritto sul Giornale.it, la città è restìa a cadere e si difende alla grande. I generali frenano lo zar dal suo intento perché altri attacchi potrebbero trasformarsi in un nuovo massacro di mezzi e uomini. Ecco perché, ad oggi, è meno dispendioso per i russi concentrarsi su alcuni obiettivi strategici che non richiedono nemmeno l’intervento di uomini ma soltanto di bombe a grappolo, missili e attacchi aerei (vedi i depositi). “Gli eventi degli scorsi giorni mostrano che non avete fatto tesoro dell’esperienza e continuate a ripetere gli stessi errori. L’urgenza di attaccare dovunque e di catturare quanto più territorio, senza consolidare i successi e coprire i fianchi dell’offensiva. si è trasformata in un azzardo. Questo ha determinato una dissipazione delle forze e dei materiali e ha permesso al nemico di colpirci alle spalle“, scrisse Stalin nel 1943 come ricorda Repubblica, ordinando all’Armata Rossa di “completare la liberazione del Donbass ed espugnare Sumy e Karkhiv“. Corsi e ricorsi storici, è lo stesso piano che i generali propongono adesso a Putin.
I russi ai minimi termini
Nonostante qualche forza fresca arrivata nei giorni scorsi, l’esercito russo è ormai ai minimi termini e si cerca di salvare il salvabile prima della fatidica data del 9 maggio. L’ultima carta da giocare rimane quella dei ceceni, qualora accettassero di essere reclutati per l’ultimo scorcio di conflitto. Kiev, dal canto suo, non vive giorni felici perché è a corto di armi e droni: poche ore fa, un cargo ucraino si è mosso dalla fabbrica turca dei micidiali Bayraktar, gli aerei-droni che tanto male hanno fatto agli invasori. E poi i tank, andranno spostati oltre il fiume Dnepr: a quel punto Putin non potrà che ammettere la sconfitta.
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