Ven. Nov 22nd, 2024

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L’ultima trovata di Vladimir Putin è la disconnessione della Russia dalla rete globale di Internet. È una notizia che si dovrebbe perdere tra le tante che caratterizzano la crisi ucraina. Anche perché il Cremlino nega, ma smentiva pure che avesse mire su Kiev tre giorni prima dell’invasione. Vera o meno che sia, però, quell’ipotesi è l’immagine nitida delle difficoltà dello Zar, del suo sogno folle di tornare a 60 anni fa, di erigere una nuova cortina di ferro che divida la Russia dal resto del mondo. Anche perché se si blocca Internet, si blocca lo strumento che nella nostra epoca garantisce la libera circolazione delle notizie, gli scambi sociali e culturali. Una scelta che fa seguito alla decisione delle grandi imprese occidentali di abbandonare il Paese, alle sanzioni economiche e a tutto il resto.

Così, di fatto, la Russia che assedia l’Ucraina con i carri armati, si ritrova a sua volta nei panni di assediata dal resto del mondo. Motivo per cui Putin ha deciso di alzare il ponte levatoio. Un’operazione che dà soprattutto il senso della sua disperazione: lo Zar si è accorto che la contaminazione tra l’Occidente e i gruppi dirigenti del suo Paese, la parte più influente, è andata molto avanti ed è difficile che la nomenklatura del potere economico – anche se ha legami con il Cremlino – accetti per molto tempo questo stato di cose; per cui corre ai ripari nello stile di tutti i dittatori del mondo, tenta di mettere una distanza, di isolare la Russia dalla comunità internazionale. Va a scuola il che è già di per sé paradossale dal paffutello Kim Jong-un. E scambia, fatto ancora più grave, la Russia di oggi per la Corea del Nord. Insomma, in piena globalizzazione lo Zar va controcorrente rispetto ad un processo inesorabile, profondo. Come se si ribellasse alla forza di gravità.

È possibile un’operazione del genere? Può la Russia vivere in un regime di autarchia? È già complesso immaginarlo ed è ancor più difficile credere che una simile filosofia possa reggere nel tempo. Più che un’operazione razionale, appare un tentativo velleitario che si esemplifica in un Putin contro tutti, addirittura contro buona parte dei russi, soprattutto i giovani, che sarebbero costretti a vivere in una sorta di isolamento economico, sociale, politico e culturale. Dalla caduta del Muro sono passati ormai quasi 33 anni, un tempo lunghissimo, in cui si sono formate generazioni che non hanno certo osservato il mondo attraverso le lenti distorte di un ex-tenente colonnello del Kgb.

Si tratta di una sfida ad alto rischio per Putin, ma, di converso, pure per il resto del mondo. Sia in caso di successo, sia di sconfitta: in questo secondo caso, infatti, lo Zar verrebbe detronizzato dal suo popolo per riaprire le frontiere economiche e del pensiero, per un anelito di libertà, cioè i sentimenti che mandarono all’aria l’impero sovietico; ma se riuscisse, se il modello Putin si imponesse, la prospettiva per la comunità internazionale sarebbe peggiore. Immaginate il desiderio di revanche che animerebbe, infatti, un Paese separato dal mondo, magari costretto, com’è probabile, alla povertà. Da lì all’odio il passo è breve. Quella «Z» dei carri armati di Putin, che un ingenuo ginnasta russo in un conato di nazionalismo si è appiccicato sulla maglia privata dalla comunità internazionale dei colori della sua nazione, somiglia tanto ad una svastica. È il primo segnale di un rischio da non sottovalutare.



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