Sab. Nov 23rd, 2024

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Il telescopio spaziale Hubble ha osservato la stella più distante mai vista nell’Universo, a quasi 13 miliardi di anni luce da noi. Essendo così distante, la sua luce impiega una grande quantità di tempo per raggiungerci e ciò ci consente di osservare come si presentava la stella quando l’Universo aveva appena 900 milioni di anni. La scoperta è stata accolta con grande interesse dagli astronomi, ma saranno necessarie ulteriori verifiche per confermare l’osservazione.

Chiamata “Earendel”, che in inglese antico significa “astro del mattino”, la stella è stata identificata mentre Hubble era puntato verso l’ammasso di galassie WHL 0137-08, osservabile in cielo nella costellazione della Balena. Un ammasso può contenere da decine a migliaia di galassie a seconda dei casi, questo nello specifico ha una massa stimata tale da poter contenere un migliaio di galassie come la nostra Via Lattea.

WHL 0137-08 si trova a circa 5,5 miliardi di anni luce dalla Terra, a poco più di un terzo di strada dell’Universo osservabile, quindi ci sono molte oltre cose alle sue spalle compresa un’enorme quantità di altre galassie più distanti. Il problema è che più ci si allontana, più la luce emessa da questi oggetti celesti diventa flebile e difficile da osservare.

Fortunatamente, un particolare effetto legato alla gravità può aiutarci a osservare oggetti molto distanti, grazie alla distorsione del percorso che segue la luce. Il fenomeno consente di disporre di una sorta di lente d’ingrandimento cosmica, che non a caso viene chiamata dagli astronomi “lente gravitazionale”.

Lente gravitazionale
Una lente gravitazionale si verifica quando le emissioni di luce, da parte di una singola stella o di una intera galassia, trovano sulla loro strada una grande quantità di materia (come un ammasso di galassie) prima di raggiungere l’osservatore, che si trova sulla stessa linea dell’orizzonte.

Il fenomeno può avere cause e scale fisicamente molto diverse, ma prendendosi qualche licenza può essere paragonato a quello che vediamo quando osserviamo una lampadina accesa attraverso la base di un bicchiere a calice. A volte, dopo aver bevuto l’ultimo sorso inclinando molto il bicchiere verso una fonte di luce, si nota che questa viene distorta formando un anello tra la parte più esterna della base del bicchiere e il centro (dove termina lo stelo). A seconda di come incliniamo la base, possiamo osservare effetti di vario tipo, come archi che distorcono e moltiplicano la luce della lampadina.

Il video qui sotto aiuta meglio a farsi un’idea, mostrando come avviene la distorsione della luce tramite la base del calice.

Su dimensioni cosmiche, avviene qualcosa di analogo. Grazie al suo campo gravitazionale, l’ammasso di galassie (corrispondente nel nostro esempio alla base del calice) si comporta come un obiettivo: curva la traiettoria della luce e ne amplifica l’intensità. Nel caso di un allineamento favorevole, l’ingrandimento può essere tale da rendere possibile l’osservazione di corpi celesti molto remoti e poco luminosi per essere visti con le normali ottiche dei telescopi.

La posizione di Earendel rispetto agli effetti della lente gravitazionale (linea tratteggiata); è inoltre visibile un ammasso di stelle riflesso dalla linea di ingrandimento della lente (NASA, ESA)

Utilizzando questo sistema e sfruttando Hubble, gli astronomi sono riusciti a rilevare la presenza oltre l’ammasso di una galassia (ora chiamata WHL 0137-zD1) identificando nell’arco di luce frutto della lente gravitazionale ciò che sembra essere un singolo oggetto, una stella solitaria: Earendel, appunto.

Earendel
È rarissimo che si riescano a ottenere risultati di questo tipo e coprire distanze così grandi. La luce della nuova galassia ha impiegato 12,9 miliardi di anni per raggiungerci e l’Universo ha un’età stimata di 13,8 miliardi di anni. Questo significa che siamo riusciti a osservare come si presentava una galassia quando l’Universo aveva appena 900 milioni di anni (“appena” in termini astronomici, naturalmente).

La luce viene amplificata in modi diversi da una lente gravitazionale e non è sempre semplice determinare se una fonte osservata sia costituita da una singola stella, o da un insieme di stelle. Il gruppo di ricerca che ha rilevato Earendel ha stimato che l’aumento apparente della luminosità possa essere tra 1.400 e 8.400 volte rispetto all’effettiva emissione di luce, e ciò spiega perché un oggetto così remoto sia visibile ad Hubble e ai suoi sensori.

Nel loro studio, gli autori della scoperta scrivono che sulla base del colore e della luminosità si può ipotizzare che Earendel abbia una massa pari a 50 volte quella del nostro Sole, e che emetta quindi fino a 100mila volte la luce che emette la nostra stella. Il gruppo di ricerca scrive inoltre di essere piuttosto sicuro che si tratti di una singola stella, ma ammette che a così grande distanza un insieme di più stelle potrebbe essere confuso con un singolo astro. Date le dimensioni stimate della fonte di luce appare comunque improbabile che si tratti di un ammasso di stelle. Anche se fosse un piccolo gruppo di stelle, sarebbe comunque qualcosa osservato a quasi 13 miliardi di anni luce da noi.

Dati più chiari su Earendel e i suoi dintorni potranno arrivare nei prossimi anni dal James Webb Space Telescope (JWST), da poco lanciato in orbita e in grado di effettuare osservazioni a una maggiore definizione rispetto ad Hubble. Earendel potrebbe aiutarci a comprendere qualcosa di più sui primi tempi dell’Universo, quando iniziarono a formarsi le prime generazioni di stelle con caratteristiche che potrebbero aiutarci a capire meglio come si formò tutto il resto, sistema solare compreso.

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