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AGI – I ministri delle Finanze dell’Ue non sono riusciti a trovare, nemmeno questa volta, l’accordo sulla tassa globale minima del 15% per le multinazionali. A bloccare il processo è stato il veto della Polonia, unico Stato ancora contrario dopo che la presidenza francese dell’Ue, con l’aiuto della Commissione, era riuscita a recepire le osservazioni degli altri Paesi che nella scorsa riunione dell’Ecofin, tre settimane fa, si erano detti contrari. Tra questi, Svezia, Estonia e Malta.
La direttiva vuole trasferire alla legislazione comunitaria uno dei due pilastri concordati lo scorso anno dall’Ocse per creare un’imposta minima effettiva del 15% sulle imprese con ricavi annuali superiori a 750 milioni di euro, ma lascia da parte l’altro pilastro del patto, l’imposta sui giganti del tech (digital tax).
Nella riunione dell’Ecofin a Lussemburgo Varsavia è l’unica capitale che si è detta contraria. Questo perché vorrebbe, almeno secondo quanto ha spiegato la sottosegretaria Magdalena Rzeczkowska, che l’Ue recepisse in modo simultaneo i due pilastri dell’accordo Ocse.
L’auspicio, espresso anche dal vice presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, è che si riesca a raggiungere l’accordo nella prossima riunione dell’Ecofin, in agenda per il 24 maggio. Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, l’ha definito un buon compresso e ha invitato i Paesi riluttanti ad accettarlo. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, l’ha giudicato invece “un successo che non può essere sprecato”.
Nel tentativo di venire incontro alle richieste polacche, la Francia ha proposto di inserire una dichiarazione firmata dai Ventisette che ribadisce l’impegno a portare avanti la tassa digitale non appena il provvedimento sarà finalizzato in seno all’Ocse, ma per Varsavia non basta.
“Il legame non è giuridicamente vincolante per garantire che entrino in vigore contemporaneamente”, ha affermato Rzeczkowska.
Da parte sua il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, ha spiegato che è “impossibile” realizzare il vincolo giuridico richiesto dalla Polonia poiché l’aliquota minima dipende da una direttiva europea, mentre la tassazione delle imprese digitali sarà disciplinata da un trattato internazionale.
Ha lasciato intendere che ci debba essere “un altro motivo” per il veto polacco. Difficile non pensare che Varsavia usi il suo veto come leva per ottenere l’approvazione del proprio Piano nazionale di ripresa e resilienza, ancora bloccato dalla Commissione e il cui giudizio passa proprio sul tavolo dell’Ecofin.
Interrogata in merito in plenaria, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha comunque chiarito che l’approvazione del Recovery polacco è ancora lontana. Tre settimane fa erano almeno quattro gli Stati contrari alla direttiva ma lo erano per motivazioni tecniche che sono state corrette, come più volte ha sottolineato oggi Le Maire, che vorrebbe vedere l’accordo approvato entro il semestre di presidenza francese che scade il 30 giugno.
L’Estonia ad esempio aveva riserve in merito alla cosiddetta regola dell’inclusione del reddito, che consente di tassare gli utili di una controllata all’estero se paga un’aliquota dell’imposta sulle società inferiore al minimo. Il testo pervenuto oggi al tavolo dei ministri prevedeva un’applicazione volontaria di tale clausola per un periodo di sei anni (era di cinque).
Un altro ostacolo era la data di entrata in vigore della direttiva, originariamente prevista per il 1 gennaio 2023, ma posticipata alla “fine” del 2023 dopo le osservazioni della delegazione svedese. Malta invece aveva lamentato le difficoltà tecniche per il recepimento della direttiva. La Commissione ha quindi offerto la propria assistenza per convincerla a dare il via libera.
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