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AGI – La silhouette di un giovane guerriero che guarda lontano. Il volto di una donna immerso nella penombra. Il primo piano di una mano. Questi sono i giorni in cui dall’Ucraina arrivano immagini crude di guerra, di bambini che imbracciano fucili, a volte in pose naturale, a volte costruite per fare rapidamente il giro del mondo. La mostra inaugurata ieri al Palazzo di Vetro racconta altre guerra del mondo, ma scegliendo un modo diverso: trasmettere il dramma del conflitto, senza spettacolarizzarlo, in modo meno ‘social’, mostrando la possibilità di “volare” e credere in un futuro. Non sembrano i tempi migliori per parlare di speranza ma questo messaggio intanto è arrivato fino a New York, dentro il Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite, dove in questi giorni si svolgono le riunioni straordinarie del Consiglio di sicurezza.
Da ieri a venerdì sarà protagonista la mostra fotografica “Women and Girls in Sub-Saharan Africa. Transforming Education for a Sustainable Future”. Organizzata per la 66 edizione della Commissione sullo Status delle donne, la mostra è incentrata sugli scatti di Mohamed Keita, giovane fotografo ivoriano scappato a 14 anni dalla guerra e arrivato a a 17 in Italia come rifugiato. La sua è la storia di come da una tragedia umanitaria possa fiorire l’arte.
Gli scatti sono drammatici, eppure rispettosi dei soggetti. “Io penso che sia essenziale il rispetto superiore del minore”, è il giudizio di Laura Guercio, romana, avvocata, docente universitaria, coordinatrice del progetto realizzato da Uninetwork, Universities Network for Children in Armed Conflict, che riunisce cinquanta università e centri di ricerca in quattro continenti. “Il principio – aggiunge – deve essere utilizzato in ogni tipo di dibattito”. Il discorso scivola sulle foto di questi giorni. Qual è la scelta migliore per raccontare la guerra? Rischiare di mostrare troppo o troppo poco? “Nella mostra allestita all’Onu – continua la professoressa Guercio – non è che non ci sono volti di bambini, ma sono in penombra, non si individua chi sia. L’utilizzo dei bambini per denunciare una realtà può avere una dimensione positiva là dove l’identità del bambino non venga resa pubblica.
Si possono utilizzare molti sistemi. Quel viso va rispettato, perchè un giorno quella persona diventerà un adulto, e non è giusto che venga riconosciuto”. Guercio è in questi giorni a New York per seguire la mostra inaugurata dalla ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, co-organizzata dalla missione permamente dell’Italia all’Onu e da Uninetwork, assime all’istituto di Studi politici S. Pio V e L.A.W. International. Con la docente romana ci sono Simona Lanzellotto e Giovanna Gnerre Landini, anch’esse romane, avvocate, impegnate in questo progetto fotografico che dall’Italia ha coinvolto migliaia di studenti.
“Questa – spiega Guercio – è la prima rete internazionale accademica che conta su cinquanta università, molte delle quali si trovano in zone di guerra, dal Medio Oriente all’Africa all’Europa dell’est, ma anche Stati Uniti e Asia. L’obiettivo è sviluppare un’attività non solo di ricerca e di studio sulle violazioni che i bambini possono subire nei conflitti, ma sviluppare strumenti normativi che hanno una dimensione legale e sociale per aiutare i minori nella loro protezione, nella loro difesa ma anche nella fase di reintegrazione dopo essere stati vittime di violenze in situazioni di conflitto armato”. La mostra di Keita è l’esempio di questa attività. “Dimostra – spiegano – come sia possibile supportare l’attività di un ragazzo che a 14 anni ha lasciato la Costa d’Avorio per la guerra civile”. Venuto in Italia, grazie anche a una rete di associazioni, Keita ha potuto studiare e esprimersi come fotografo.
“Quando l’abbiamo incontrato – aggiungono – l’abbiamo preso come storia importante da raccontare per dimostrare come le esperienze negative della guerra, se supportate attraverso una rete di formazione, possano trasformarsi in messaggi positivi, di speranza. Le cose possono cambiare”. Le rappresentanti di Uninetwork hanno incontrato a Roma il fotografo due anni fa, quando è nato il network (“per certi versi, se si può dire, è come se avessimo adottato Mohamed”, dicono). Hanno lanciato uno corso dedicato a scuole di tutto il mondo, aperto a ottanta studenti, e docenti, con un programma di formazione per chi vuole lavorare sul tema dei bambini nei conflitti armati. Per sviluppare una maggiore interazione con le scuole, sono state utilizzate le foto e chiesto ai ragazzi di commentarle. “Abbiamo raccolto tutti i loro commenti in un calendario – spiegano – allo stesso tempo raccoglieremo le opinioni in un libro, che verrà pubblicato a breve”.
A Keita sono state chieste altre foto attraverso le quali esprimere non solo la denuncia, ma per mostrare come i bambini nelle guerre possono avere gli strumenti per volare, per credere ancora in un futuro. “Mohamed Keita – conclude la professoressa Guercio – è volato perchè è arrivato al Palazzo delle Nazioni Unite e noi siamo felici per questo”.
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