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Ne ha viste di pulizie etniche Agostino Miozzo, nella sua lunga carriera di pronto intervento umanitario per conto della Protezione civile, dell’Italia e della Commissione europea, dalla ex Jugoslavia al Ruanda dove è stato il primo occidentale a entrare a Kigali nel 1994 per dare soccorso ai ruandesi tutsi (e hutu moderati) vittime della campagna di sterminio. «Ma le azioni che i russi starebbero portando avanti nei territori occupati nel sud dell’Ucraina – dice – hanno tutte le caratteristiche di una bonifica etnica subdola, sottile, scientifica, diversa dal passato, comunque drammatica».
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I negoziatori russi, all’inizio, volevano autorizzare soltanto i corridoi umanitari verso la Russia, Paese degli invasori. Cosa le fa pensare?
«Una forzatura che di fatto avrebbe significato la pulizia etnica obbligata del territorio, anche se poi bisogna fare la tara di tutte le informazioni che filtrano in una guerra, da una parte e dall’altra. Va anche distinta la deportazione, come atto di forza fisico, dall’imposizione della scelta tra restare e andarsene, aderire o no al nuovo regime, forzatura di una salvezza che non si avrebbe scegliendo l’altra parte. La differenza è sottile ed emblematica».
È comunque corretto parlare di pulizia etnica?
«In un modo o nell’altro, sì. Gli stessi bombardamenti delle città sono un tentativo di forzare il movimento di persone verso un’altra destinazione, un modo per svuotare i centri abitati, perché la Federazione russa ne possa fare un territorio aggregato. Come probabilmente vorrebbe il presidente Putin, anche se è difficile sondare le sue reali intenzioni: dove si voglia fermare, o cosa voglia fare. È tuttavia evidente che tutto quello che si sta facendo suona come una pulizia etnica, seppur diversa da quelle della ex Jugoslavia o del Ruanda».
In che senso?
«Penso ai bombardamenti delle città in Ucraina. Quando colpisci la scuola, l’ospedale, le strutture di accoglienza, i centri per la distribuzione degli aiuti, giochi una partita che vuol dire: o vi togliete di qua o vi affamiamo, vi uccidiamo in altro modo. È una forma molto perversa di pulizia etnica. Per certi versi, drammaticamente perversa».
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«Appunto, è una pulizia etnica più elaborata di quelle viste in passato. Nella ex Jugoslavia la bonifica era attuata attraverso strumenti di violenza fisica disegnati appositamente, come la violenza sessuale su migliaia di donne musulmane, un terrorismo nei confronti delle donne, le quali sapevano che restando correvano il rischio di essere stuprate».
E in Ruanda?
«Qui la pulizia etnica si è realizzata attraverso lo sterminio dell’altra razza, dell’altro nucleo, attraverso la violenza indiscriminata su uomini e donne: una precisa, specifica e drammatica violenza nei confronti dell’altra etnia».
E in Ucraina?
«È una pulizia più scientifica e modulata: dal bombardamento delle città all’offerta di scappare da una zona difficile. Gli si dice: vieni a casa mia, usa la mia moneta, la mia lingua e sei salvo. Un’offerta, però, fatta con il mitra in mano. Un vero patto col diavolo, che si può accettare solo in una situazione di disperazione. Una forma nuova e originale, ben concertata. Un esercizio sofisticato. Oltretutto nei confronti di un popolo che sta invece resistendo. L’intelligence russa si è palesemente sbagliata, ha commesso l’errore strategico devastante di non aver capito i segnali sul terreno. Altro che tappeto rosso e autostrade in discesa per gli invasori».
Che dire dei sindaci rimossi, fatti prigionieri e sostituiti, e dei trasferimenti di popolazione?
«Le stesse persone che adesso abbandonano l’Ucraina occupata e vanno in Russia, sempre che siano corrette le informazioni che arrivano, potrebbero tornare con agevolazioni e linee di vantaggio. Con l’offerta di nomine in posti di potere lasciati da altri».
Si parla di referendum nei territori via via conquistati per scegliere tra Russia e Ucraina…
«È la dimostrazione della scientificità del disegno. Un referendum manipolato è pur sempre un referendum. Gli Hutu, in Ruanda, non hanno indetto referendum per governare, si sono limitati a sterminare quasi un milione di persone. La pulizia etnica può avere molte declinazioni. Piuttosto, colpisce come nei primi anni ‘90, non un secolo fa, il bipolarismo fosse già crollato e vi fosse l’entusiasmo occidentale per la prospettiva che sembrava aprirsi di un mondo perfetto e del villaggio globale. E invece, gradualmente, sono emersi i problemi di sempre. Nella ex Jugoslavia come in Ruanda. E adesso in Ucraina».
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