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Il regista napoletano tentava il bis con «E’ stata la mando di dio» dopo otto anni dall’Oscar per «La grande bellezza». Dopo il verdetto, festa e balli con la famiglia
«Il nostro compito al mondo non è di avere successo, ma di fallire nelle migliori condizioni possibili». Paolo Sorrentino la butta sul filosofico. Sornione, cita Robert Louis Stevenson, all’indomani del mancato bis dell’Oscar per il miglior film internazionale con
È stata la mano di Dio, la sua opera più personale, otto anni dopo quello per
La grande bellezza
. I giurati degli Academy Awards gli hanno preferito Drive my car che il regista giapponese Ryûsuke Hamaguchi ha tratto da un racconto di Haruki Murakami. «Avevo capito già da qualche mese che non c’erano speranze per il mio piccolo film, ormai conosco le procedure di entusiasmo intorno a un’opera. Allora furono per
La grande bellezza, quest’anno ho visto crescere l’interesse intorno a Drive my car, peraltro film bellissimo. Sono felice di come è andata. Entrare in cinquina è veramente una vittoria. Ha grosse ricadute sulle possibilità di creare le condizioni miglior per andare avanti».
La sua prossima tappa, assicura il regista, è recuperare le energie dopo il tour de force promozionale iniziato a fine estate, Venezia 78 dove ha vinto il Leone d’argento Gran premio della giuria. «Il progetto principale adesso è riposare. Ci sono tante cose che sono in piedi. Ma non ho questa fretta di tornare a girare, comincio a essere grandicello e penso sia meglio fare i film con calma, diradare la presenza».
Lo stato d’animo a Los Angeles è stato diverso dalla prima volta, racconta. «Innanzi tutto per quello che stiamo vivendo. Non era certo il momento ideale per gli Oscar. Il peso della guerra, così vicina per noi europei, si è fatto sentire, era un po’ imbarazzante festeggiare». Come tanti colleghi, sulla giacca portava il nastrino blu in segno di solidarietà con i profughi ucraini. «Da cittadino sono contro la guerra, come tutte le persone ragionevoli». Il 2014 sembra più lontano di quanto non sia in realtà. «È cambiato tutto. La pandemia ha fatto da spartiacque. La stessa Hollywood oggi risulta meno brillante, meno attrattiva. E mi pare che questa sia stata un’edizione un po’ sottotono».
Fosse stato per lui, avrebbe fatto vincere Licorice pizza di Paul Thomas Anderson. Un romanzo di formazione di due ragazzi che potrebbero essere amici del Fabietto di
È stata la mano di Dio, interpretato da Filippo Scotti.
«Mi sono divertito a osservare come si muoveva in questo mondo, con grande velocità. Filippo è una ventata di divertimento. Nel 2014 io lo guardavo con la lente della meraviglia. Questa volta ho lasciato spazio all’ironia, che è più vicino al mio modo di vedere la vita».
Che mette in pratica di fronte alla, inevitabile, domanda sull’affaire Smith-Rock. «Lo schiaffo? Non l’ho visto. Io in quel momento avevo trovato un delizioso angolo dove fumare. E comunque mi faccio i fatti miei, ognuno si fa gli schiaffi suoi».
La trasferta americana si chiude qui. «In questi mesi ho mostrato il film a colleghi che stimo molto, Guillermo Del Toro, Alfonso Cuarón, Julian Schnabel. E la collaborazione con Neflix è stata fruttuosa». Comunque, la banda Sorrentino — la moglie Daniela, i figli, Anna e Carlo, Luisa Ranieri con il marito Luca Zingaretti, Scotti — ha festeggiato. «Dopo la cerimonia ho fatto tardissimo con mio figlio, l’ho portato a una festa privata dove c’erano musicisti che io non conoscevo ma per lui importantissimi».
28 marzo 2022 (modifica il 28 marzo 2022 | 21:19)
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