Sab. Ott 19th, 2024

[ad_1]

di Marzio Breda

Il presidente della Repubblica: se questa deriva non venisse fermata adesso pagheremmo un prezzo di gran lunga superiore»

Nessuno ricava mai dei dividendi da una guerra. In fondo, neppure chi la vince o chi la condanna a parole, tenendosene però in un’algida distanza e sperando che l’inerzia lo protegga dalle conseguenze. È una riflessione che vale sempre. Anche nel caso di quello che Sergio Mattarella definisce l’«ingiustificabile conflitto» in Ucraina. Fermarlo è una responsabilità collettiva, dice. Un obbligo morale per il quale siamo tutti, noi europei in particolare, chiamati a «un più forte impegno per la pace, perché si ritirino le forze di occupazione e tacciano le armi, perché sia ripristinato il diritto internazionale e siano rispettate le sovranità nazionali». Certo, aggiunge, andando oltre le questioni di principio, «opporsi oggi a questa deriva di scontri comporta dei prezzi, potrebbe provocare dei costi alle economie dei Paesi che vi si oppongono. Ma questi sarebbero di gran lunga inferiori a quelli che si pagherebbero se quella deriva non venisse fermata adesso».

Il presidente utilizza la festa internazionale della donna per tornare sull’emergenza causata dall’invasione decisa da Putin. Fatale dunque che, nell’incipit del suo discorso alla cerimonia svoltasi ieri al Quirinale, rivolga il pensiero «alle madri, alle lavoratrici e alle giovani ucraine», colpite da «una violenza inattesa, crudele e assurda». Le donne che «partecipano alla difesa della loro comunità, costrette a ripararsi nei rifugi d’emergenza, che lasciano le loro case e il loro Paese, che hanno paura per i loro figli, che prestano cure ai più deboli, che piangono morti innocenti». E qui evoca la disperazione dei genitori del piccolo Kirill, il bimbo di 18 mesi morto a Mariupol, immagini che esprimono «l’insensatezza della guerra, la crudeltà e il cinismo di questa aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina».

Ecco su cosa poggia il punto politico della sua riflessione. Sembra infatti dettato a futura memoria il cenno ai «costi» (umani, ma non solo) del conflitto, con l’avvertimento che inevitabilmente ricadranno anche su quanti si adoperano per spegnerlo. Come l’Italia, esposta più di altre Nazioni a ricadute negative nell’export con la Russia e nell’approvvigionamento energetico. Bisogna saperlo, sembra il retropensiero, che suona sia di sostegno alle scelte sulle sanzioni decise dal governo Draghi, sia di ammonimento a chi, passata l’onda emotiva della prima solidarietà, potrebbe essere poi tentato di sfilarsi dalla linea della fermezza verso il Cremlino.

In questo senso è come se il capo dello Stato giocasse d’anticipo. In un messaggio comunque assai calibrato (per esempio non c’è alcuna censura al popolo russo ma al governo di Mosca), nella sua durezza in cui non giustifica in nulla la scelta putiniana. E questo passaggio basta a spiegarlo. «Non è tollerabile — e non dovrebbe essere neppure concepibile — che in questo nuovo millennio qualcuno voglia comportarsi secondo i criteri di potenza dei secoli passati, pretendendo che gli Stati più grandi e forti abbiano il diritto di imporre le proprie scelte ai Paesi più vicini e, in caso contrario, di aggredirli con la violenza delle armi. Provocando angoscia, sofferenze, morti, disumane devastazioni». E ancora: «L’indifferenza di fronte all’arbitrio e alla sopraffazione è il peggiore dei mali. In gioco non c’è solo la libertà di un popolo, ma la pace, la democrazia, il diritto, la civiltà dell’Europa e dell’intero genere umano». Il resto del discorso è dedicato alle donne di casa nostra e ai «troppi impedimenti, pregiudizi e ostacoli» che ancora restano da rimuovere.

8 marzo 2022 (modifica il 8 marzo 2022 | 21:36)

[ad_2]

Source link

Lascia un commento