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Mai era accaduto in passato di dover trattare questioni simili. A parte qualche minaccia anche recente — l’Arabia Saudita nei giorni scorsi ha prospettato l’ipotesi di farsi pagare il petrolio in yuan cinesi — l’economia dell’energia, e quindi anche quella del gas siberiano, un’economia del dollaro, con qualche concessione minore per l’euro. La guerra in Ucraina e le sanzioni per ora non hanno toccato proprio quei contratti di fornitura: il gas russo arriva a ovest e i pagamenti verso est continuano. In quelle carte, ancora pienamente valide, sono scritti in termini chiari non solo quali sono i prezzi ma anche qual la valuta di pagamento delle transazioni. Quest’ultima non pu essere cambiata unilateralmente, e il venditore (in questo caso la societ di Stato, Gazprom, che fino a oggi ha pubblicato ogni mattina una nota ufficiale precisando che le forniture di gas erano regolari) dovr richiederlo al compratore, l’Eni, la Total, le aziende tedesche, tutti coloro con i quali ha accordi di lungo termine. E ricevere una risposta positiva.
Se la richiesta si applicasse solo ai contratti futuri e non agli attuali allora non ci sarebbe problema immediato, o quasi. Ma sembra improbabile che possa essere cos. E allora ecco che si arriverebbe al vicolo cieco, al deadlock, se non addirittura allo scontro: sarebbero gli importatori disposti a invalidare i contratti pur di non pagare in rubli e quindi a rischiare di non ricevere pi il gas? Sarebbe Gazprom (ovvero il Cremlino) pronto a chiudere i rubinetti se gli occidentali non accettassero di pagare in rubli, privandosi per cos delle relative entrate?
I timori manifestati del cancelliere tedesco Scholz (con provvedimenti affrettati sull’energia si rischia una recessione) e in genere dei Paesi gas-dipendenti fanno pensare che la prima strada sia impercorribile, almeno per ora. E che quindi si apra la caccia al rublo, come i primi movimenti del mercato hanno mostrato nella giornata di ieri. Con tutte le incognite relative a una moneta che di certo non considerabile una valuta di riserva. Non facilmente reperibile sui mercati internazionali e nel pieno controllo della Banca centrale di Mosca, che potrebbe cos spuntare le minacce su svalutazione e inflazione interna a cui le sanzioni espongono l’economia russa.
Ma la decisione mostra soprattutto la coerenza di fondo dei piani dell’inquilino del Cremlino. In attesa che la questione rublo-gas venga approfondita Putin ottiene i suoi obiettivi: non solo prova a dividere gli occidentali e nel frattempo rivaluta il rublo, ma persiste nella strategia di tenere i mercati dell’energia sul filo del rasoio, come i rialzi di ieri hanno confermato. La mossa sul rublo coerente con la stretta sulle forniture di gas dei mesi scorsi (a gennaio -40%) che ha spinto i prezzi alle stelle. Ed coerente anche con le misure prese sul fronte del petrolio, di cui la Russia il primo esportatore mondiale: proprio nei giorni scorsi Mosca ha bloccato l’oleodotto CPC (Caspian Pipeline Consortium), il tubo che trasporta il petrolio del Kazakhstan al porto di Novorossiysk sul Mar Nero. Danni alle strutture di carico dovuti al maltempo, stato il motivo ufficiale. Le conseguenze si sono viste subito: la prospettiva della mancanza di 1,7 milioni di barili al giorno dal mercato ha fatto schizzare le valutazioni del 5% a pi di 121 dollari. E con la parte di spettanza di quel rialzo la guerra continua ad essere ben finanziata.
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