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Per comprendere appieno la giornata di ieri bisogna partire dall’epilogo. A sera Mario Draghi è salito al Quirinale per un incontro non programmato con il presidente Mattarella. Il tema è l’aumento degli investimenti militari fino al 2 per cento del Pil. Il motivo è l’irritazione del premier per le posizioni rimarcate ieri da Giuseppe Conte («Abbiamo valutazioni diverse» ma «abbiamo diritto ad essere ascoltati»). L’incontro tenuto tra i due nel pomeriggio infatti non è riuscito a sbloccare l’impasse in cui è finito il governo, ormai pronto a ricorrere alla fiducia sul Ddl Ucraina. Anzi. L’ora e mezza di batti e ribatti è stata molto tesa e ha ampliato la frattura tra i pentastellati e il resto della maggioranza. Se Draghi ha spiegato ancora una volta all’avvocato 5S come l’esecutivo intenda rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato, Conte ha invece sottolineato di nuovo come «l’aumento della spesa militare ora è improvvido».
Un braccio di ferro che, nonostante le rassicurazioni di facciata contiane («Non ho sollevato nessuna crisi di governo. Draghi avrà pure il diritto di informare il presidente Mattarella») Palazzo Chigi non vuole tollerare. Tant’è che, trapela, se venissero messi in dubbio i cardini dell’intesa con gli Alleati atlantici, «verrebbe meno il patto che tiene in piedi l’esecutivo». L’irritazione è palese. Anche tra i partiti. Specie dal Nazareno, da cui subito fanno sapere di un Enrico Letta molto preoccupato. Non solo. Matteo Renzi attacca a modo suo: «Draghi è uno statista, Conte è un populista». E non usa mezzi termini la ministra Gelmini: «Questo è il momento della responsabilità». Anche nei 5S rinnovati nel vertice (lunedì la riconferma dell’avvocato come leader), torna ad evidenziarsi la spaccatura con i dimaiani: «Non ha senso» sibilano. Meno netta la Lega: «Leali al governo, senza voler portare l’Italia in guerra e lavorando per la pace». In generale a farla da padrone è lo sconcerto. Vanno creandosi le condizioni per la fine del governo attuale a causa di piani concordati nel 2014 e seguiti dai vari inquilini di Palazzo Chigi. Conte compreso. Da allora ad oggi infatti tutti i premier hanno avallato, entro il 2024, un continuo progressivo aumento degli investimenti. Anzi, a guardare i bilanci della Difesa durante la gestione dei governi guidati dal leader 5S, ne viene fuori un’immagine impietosa che – questa la linea che emerge dalla maggioranza – fotografa il situazionismo politico con cui Conte si sta approcciando ad un momento tanto delicato. Se i conti del 2018 infatti erano sostanzialmente uguali a quelli del 2008, da lì in avanti la spesa è cresciuta del 17 per cento.
I passaggi
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