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Il giornalista del New York Times Tom Friedman: «Il presidente russo ha sbagliato tutto, non ha garantito al Paese una crescita sostenibile e ora fa il vendicatore della dignità del suo popolo. Ora è un paria: ma noi cosa faremo?»
Chiediamo a che punto è il dramma ucraino a Tom Friedman, editorialista del New York Times e più volte premio Pulitzer, che ha raccontato e analizzato tutte le più gravi crisi internazionali degli ultimi 30 anni.
«Il piano A di Putin è catastroficamente fallito, è fallita l’idea che l’Ucraina sarebbe implosa, la sua leadership “nazista” decapitata in pochi giorni e l’intero Paese sarebbe caduto in braccio alla Russia. Così si è gettato nel piano B: devastare il Paese bombardando i centri abitati con lo scopo di provocare il più grande esodo di rifugiati in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Putin pensa che se non può piegare militarmente tutta l’Ucraina e imporre le sue condizioni, 10 milioni di profughi, con tutto quello che significano in termini sociali ed economici, convinceranno Polonia, Germania, Italia e le altre nazioni della Nato a far pressioni su Zelensky per accettare le condizioni di una resa».
Ma il fronte occidentale appare ben saldo. Biden ha compattato gli alleati europei e sul terreno i russi sono frenati.
«Ecco perché Putin potrebbe ricorrere al piano C, che è pericoloso perché secondo me significa attaccare le linee di rifornimento ucraine direttamente in Polonia, un Paese Nato, aprendo un intenso dibattito dentro l’Alleanza: manderemo i nostri ragazzi alla Terza guerra mondiale in risposta? E non oso parlare del piano D, non escluso dal Cremlino, cioè il ricorso ad armi chimiche o addirittura nucleari per devastare l’Ucraina e fare terra bruciata. Penso che l’Occidente debba porsi una domanda più grande».
Quale?
«Sin dal 2000 abbiamo vissuto con il “bad boy” Putin: provava a influenzare le elezioni americane o italiane, lanciava attacchi cibernetici, mandava truppe in Siria o in Libia. Quando diventava troppo cattivo come in Crimea abbiamo varato un po’ di sanzioni. Ma tutto sommato ci si poteva convivere. Quello che non avevamo mai sperimentato è il Putin paria, che si rende colpevole di crimini di guerra, alla guida di un Paese con migliaia di testate nucleari, la Russia come una gigantesca Corea del Nord. In che modo si può negoziare con un leader del genere, senza essere ingenui o farsi troppe illusioni?».
L’Occidente deve augurarsi la rimozione di Putin?
«A un certo punto sono sicuro che ci saranno russi disposti a prendere il destino nelle loro mani e allora possono succedere tre cose: un leader peggiore di Putin, il caos totale in Russia ovvero qualcuno meglio di Putin, qualcuno decente».
Ma Putin sembra in pieno controllo.
«Sì. Ma in questi casi ci possono essere accelerazioni improvvise. Cifre prudenti dicono che almeno 10 mila soldati russi sono stati uccisi. Dovranno pure restituirli alle famiglie. Oppure non li riporteranno mai a casa, il che è anche peggio. Cosa succederebbe se fra dieci giorni, un mese, centinaia di migliaia di persone scendessero in piazza e la polizia non riuscisse a contenerli?».
Putin secondo te è un leader ancora razionale?
«È stato isolato a causa della pandemia e ha marinato in questo miscuglio di ideologia nazionalista russo-ortodossa, condito con una dose di misticismo. E si è convinto a commettere il più grande errore politico della sua vita. Putin ha sbagliato tutto in questa storia, non ha capito l’Occidente. Certo può ancora mascherare questo disastro con una narrazione, protetto dal fatto che quasi tutti i russi non hanno più accesso a fonti di informazione indipendenti. Ma non è finita. Non andiamo verso una conclusione logica, stabile o equilibrata. E non so come finirà».
Quale chance c’è per una soluzione negoziata?
«Nessuna delle due parti sembra pronta a farlo. Ma il tempo non è dalla parte di Putin, più tempo passa più sarà difficile per lui “raccontare” una vittoria. In più c’è il “Superpower people”. È quello che io chiamo il “principio della principessa Diana” nelle reazioni internazionali: come il suo matrimonio, sono molto affollate. Ci sono tanti protagonisti nuovi oltre Putin, l’Ucraina e la Nato: il popolo di Telegram, i clienti di Airbnb che prenotano migliaia di camere in Ucraina senza occuparle riuscendo così a mandare denaro, i dipendenti e clienti di McDonald’s che hanno costretto l’azienda a lasciare la Russia. Questi protagonisti fanno pressione e non hanno alcuna intenzione di fare concessioni a Putin».
Prima dell’invasione, avevi più volte ricordato il ruolo che l’espansione a Est della Nato ha avuto nell’involuzione di Putin.
«Mi sono convinto che il comportamento di Putin non abbia nulla a che fare con l’espansione a Est della Nato. I suoi problemi sono due: primo non è stato capace di assicurare alla Russia una crescita sostenibile e questo lo ha portato a trasformarsi nel vendicatore della dignità dei russi. Secondo, egli sa che non può permettersi non tanto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, quanto quello nell’Unione europea, perché significherebbe avere ai propri confini una democrazia con un’economia vibrante. Significherebbe negare il suo assunto, che considera l’Ucraina una creazione fittizia. Come possono i piccoli russi avere più successo dei suoi russi? Per questo si è trasformato in un leader in guerra permanente».
Il mantra di questi giorni è che stiamo assistendo alla fine della globalizzazione. Tu sei stato uno dei suoi teorici con il tuo libro «Il mondo è piatto».
«Sono stato spesso contestato per quel libro, che è del 2004, prima che arrivasse l'”iPhone”. La globalizzazione è stata dichiarata morta molte volte: dopo l’11 settembre, nel 2008. E ogni volta si sbagliavano perché la globalizzazione non si identifica con il commercio, ma con la capacità di agire globalmente in quanto individui. Forse sarà rallentata, ma penso che la voglia di connettersi con gli altri è il più basilare degli istinti umani e la tecnologia ce lo permette come mai prima d’ora. Anche in questa crisi, le persone agiscono globalmente».
25 marzo 2022 (modifica il 25 marzo 2022 | 08:56)
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