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Il gas, l’addio al nucleare, la Crimea: «Troppo opportunista»
Dov’è Angela Merkel? Cosa fa? E soprattutto, cosa pensa della crisi in Ucraina? Un fantasma si aggira per la Germania. Mentre il governo federale, sull’onda della guerra di aggressione di Vladimir Putin, getta alle ortiche 70 anni di cautele, riluttanze e comode ambiguità in politica estera, un dubbio improvvisamente attanaglia il Paese. E se non fosse stato tutto oro quello che luccicava nei sedici anni dell’eterna cancelliera? Sono passati appena quattro messi dall’addio al potere di Merkel, quando fiumi di lodi e rimpianti accompagnarono la sua uscita di scena: «Ci mancherà», fu la parola d’ordine di quei giorni. Ma il 24 febbraio, il giorno in cui Putin ha cambiato il corso della Storia europea, ha segnato uno spartiacque anche per l’ex cancelliera e il suo lascito. D’un tratto, i tedeschi si guardano indietro, chiedendosi se f
orse qualcosa non funzionasse nel dolce letargo in cui Angela Merkel li ha cullati così a lungo.
La crisi ucraina è stata per la Germania una sorta di mezzo di contrasto che sta evidenziando i lati oscuri di tutto quello che ha rappresentato l’era Merkel: la dipendenza energetica, l’uscita affrettata dall’energia atomica, lo scarno bilancio per la difesa, la sovranità europea, perfino la pandemia. Nell’arco di pochi giorni le scelte della cancelliera non hanno più retto la prova del tempo. «Come siamo arrivati a questa situazione?», si chiede sul settimanale Die Zeit Tina Hildebrandt, secondo cui la guerra «ha reso Merkel come prigioniera in una terra di nessuno politica, lost in transition per così dire». Le domande fioccano: perché sotto Merkel l’Ucraina non è stata agganciata in modo stabile all’Occidente? Perché la cancelliera ha permesso che la Germania diventasse così fortemente dipendente dalle importazioni di gas dalla Russia? Sin dall’inizio delle ostilità, Merkel si è appalesata soltanto con una dichiarazione di «netta condanna» dell’aggressione russa, definita «un taglio profondo nella storia dell’Europa», senza tuttavia pronunciare il nome di Putin. Il resto è stato silenzio e totale sparizione dalla scena pubblica.Ma di lei si parla molto.
Sui media, nei talkshow, nei colloqui confidenziali con ex ministri e collaboratori, nelle interviste degli analisti politici. Secondo Martin Koopman, della Fondazione Genshagen, un think tank che promuove il dialogo europeo, il problema è che le decisioni di Merkel furono raramente l’esito di un pensiero politico strategico: «Non perdere il filo del dialogo, tenere insieme l’Europa, tenere insieme tutto: questo era il metodo Merkel. Chi modera sempre forse dura a lungo, ma non imprime una direzione alle cose». Il capitolo d’accusa più forte riguarda naturalmente il rapporto con Vladimir Putin e la Russia. Non si è mai fatta illusioni, Angela Merkel sul leader del Cremlino, che ha sempre considerato un furfante e non ha esitato a criticare «Ma un furfante del quale si poteva fidare e col quale doveva dialogare», chiosa Hildebrandt. A questo contribuivano anche l’affinità e la passione di Merkel per la Russia e la sua cultura. L’errore più grande, dicono i critici, fu di autorizzare il Nord Stream 2 nel 2014, lo stesso anno cioè in cui Putin si annesse la Crimea, contro il parere del suo consigliere per la Sicurezza nazionale, Christoph Heusgen, che l’aveva messo in guardia dai rischi geopolitici del gasdotto.
C’è tuttavia molto senno di poi e un po’ di ipocrisia, in questa lettura revisionista dell’età di Merkel. Perché le sue scelte furono condivise in pieno dall’industria tedesca, dal suo partito, la Cdu, e soprattutto dagli alleati della Spd, che fino al 24 febbraio hanno considerato una «vacca sacra» il dialogo e la cooperazione economica con Mosca, in nome della Ostpolitik. Lo stesso Olaf Scholz è stato più volte ministro e da ultimo anche vicecancelliere sotto di lei. Perfino i Verdi, che pure si sono sempre opposti al Nord Stream 2 e che erano all’opposizione, non sono in una posizione impeccabile, avendo sempre visto di buon occhio gli scarsi fondi per la difesa. Insomma, se Merkel porta la colpa principale, nessuno è innocente se la Germania negli ultimi venti anni si è legata mani e piedi al gas russo ed ha rifiutato di assumersi responsabilità geopolitiche. «Merkel — dice l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, che è sempre stato coerente nel suo giudizio sulla cancelliera — ha sempre e solo pensato a tenere i tedeschi al riparo da ogni pericolo, salvaguardandone tranquillità e benessere come se il mondo e le sue dinamiche politico strategiche non li riguardassero. Ma oggi purtroppo paghiamo il prezzo. Ed è un prezzo molto alto».
26 marzo 2022 (modifica il 26 marzo 2022 | 06:55)
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