Mer. Nov 27th, 2024

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La remissione clinica nell’artrite reumatoide è l’obiettivo principale che ciascun reumatologo dovrebbe porsi insieme al proprio assistito perché è il momento in cui il paziente sta bene, è privo di sintomi. È lo stato di malattia che ci permette di raggiungere i migliori risultati possibili a medio e lungo termine. Se un paziente è in remissione ovviamente ‘pesa’ meno sul bilancio della sanità: avrà meno probabilità di progredire radiologicamente, svilupperà meno complicanze articolari nel lungo corso della patologia”. Così Roberto Caporali, direttore del Dipartimento di Reumatologia e Scienze mediche Asst Pini-Cto di Milano, commentando i risultati di uno studio pubblicato su ‘Advances in Therapy’, dai quali emerge che raggiungere la remissione clinica nell’artrite reumatoide comporta benefici economici, con risparmi tra il 19% e il 52% dei costi medici diretti e tra il 37% e il 75% dei costi indiretti.

“Il raggiungimento di alte percentuali di remissione già dall’inizio del ciclo di trattamento – prosegue – può aiutare i pazienti a mantenere la funzionalità articolare e evitare la disabilità a lungo termine. Questa pubblicazione ha raccolto nuove osservazioni sui benefici anche economici del raggiungimento del controllo della malattia. Tali risultati evidenziano l’importanza della strategia treat-to-target nel raggiungimento della remissione nell’artrite reumatoide”.

“Tutti noi reumatologi – spiega Caporali – siamo sempre stati convinti che se un paziente raggiunge la remissione ovviamente rappresenta un risparmio per il Servizio sanitario nazionale: necessiterà di un minore numero di visite diverse da quella reumatologica, potrà effettuare meno visite dal reumatologo e soprattutto non avrà bisogno di cambiare farmaci in continuazione per raggiungere la remissione”.

“Non solo: se un paziente raggiunge la remissione con un farmaco – prosegue il reumatologo – questo consente un risparmio nel breve periodo perché avremo un paziente che ha meno bisogno di accedere ai servizi del Ssn. Oltre al fatto che non dovrà assentarsi dal posto di lavoro a causa della malattia. Un dato importante è che se la remissione persiste nel tempo, il paziente avrà meno probabilità di dover accedere a misure quali l’invalidità piuttosto che essere costretto a lasciare il lavoro e a dover chiedere gli assegni che gli permetterebbero di vivere una volta perso il lavoro. È molto importante aver dimostrato nero su bianco questi risultati perché tutto ciò permette di confermare un’opzione che noi abbiamo sempre pensato”.

In futuro, secondo Caporali “dobbiamo continuare a lavorare in questo ambito – sostiene l’esperto -. Da un lato incrementando il numero di pazienti che va incontro alla remissione che, va detto, oggi non riusciamo a raggiungere nel 50% dei pazienti. Come? Con la diagnosi precoce e grazie ai nuovi farmaci che abbiamo a disposizione”. Inoltre, “ulteriori dati sul fatto che il paziente in remissione rappresenta un risparmio potrebbero essere molto utili anche a coloro che controllano la spesa sanitaria nelle nostre strutture per capire se quel poco che spendiamo in più per un farmaco rispetto ad un altro ci garantisce nel medio e lungo periodo un maggior risparmio in termini di raggiungimento di remissione e tutto quello che ne consegue” conclude.



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