Ven. Nov 22nd, 2024

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Una volta, tanto tempo fa, quando la politica era una cosa seria, le alleanze, le coalizioni, le maggioranze di governo si basavano su un programma che dedicava le prime 4-5 pagine alla politica estera. All’epoca, con un mondo diviso a metà tra Alleanza Atlantica e Patto di Varsavia, era tutto più semplice, c’era poco da scegliere. Eppure senza la condivisione vera sulle questioni internazionali non nasceva nessuna alleanza, nessun governo. Il primo a ricordarlo dovrebbe essere l’attuale segretario del Pd, Enrico Letta, che è figlio di quei tempi. Invece sembra uno smemorato, visto che in questa fase storica, in cui la politica si è trasformata in folklore, le coalizioni nascono solo sugli interessi elettorali. E la prima ad avere questo difetto è proprio la sua. O, meglio, quella che ha in mente di costruire lui.

Il caso è sotto gli occhi di tutti: Giuseppe Conte, ex premier e interlocutore privilegiato del Pd, su un tema sensibile come l’aumento del 2% delle spese militari, un impegno preso in sede Nato, non ci sente, non vuole starci (almeno a parole). Il più convinto, invece, della necessità di onorare i patti è proprio Letta. Intanto perché il rafforzamento delle nostre forze armate può essere un viatico per mettere in piedi finalmente un esercito europeo. In secondo luogo per tenere saldi i rapporti con la Nato e gli Stati Uniti. Infine per essere un interlocutore credibile nella fase negoziale del conflitto ucraino.

Alla fine la maggioranza non si dividerà sull’argomento perché Mario Draghi ha deciso di porre il voto di fiducia. Ma si tratta della solita soluzione rabberciata che dà vita ad un paradosso grosso come una casa: il governo, infatti, ha deciso di recepire l’ordine del giorno della Meloni che appoggia l’aumento delle spese militari del 2%, una scelta che continua ad essere contestata duramente dai grillini. Nei fatti si dimostra in questo modo che il governo ha più affinità sulla politica estera con l’opposizione che non con un pezzo di maggioranza. Una contraddizione che rasenta l’assurdo, al punto da spingere ieri Draghi a salire al Quirinale.

Poi certo, quando si tratta dei 5stelle non c’è nulla di serio. Per cui i grillini abbozzeranno votando la fiducia: più che minacce quelle di Conte – come avevo scritto – sono un peto. E Draghi non avrà problemi. I problemi, invece, li avrà Letta quando dovrà mettere in piedi la sua alleanza – quella giallorossa – che neppure sui temi internazionali è d’accordo, che fa acqua da tutte le parti, che se avesse dovuto gestire la guerra avrebbe dato vita ad una tragicommedia. L’assurdo è che in queste settimane la sinistra ha messo sotto il microscopio i «putiniani» del Carroccio e le divisioni del centrodestra. Poi, però, alla prova dei fatti questo schieramento si è mostrato unito, anche se una parte è al governo e l’altra all’opposizione, mentre i giallorossi che sono tutti in maggioranza no. Un segnale da valutare con attenzione, visto che nei prossimi anni la politica estera sarà fondamentale. E per contare davvero a livello internazionale c’è bisogno di credibilità. Quella che purtroppo Conte non ha.



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