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Essere russi per essere figli di madre russa, sono io, discendenti di una famiglia che ci ha trasmesso tutto l’amore e l’attaccamento alla cultura russa, alla sua lingua e le sue tradizioni, è una dimensione che porta con sé un insieme di legami e affetti così profondamente intimi da andare oltre ogni senso di appartenenza identitaria di nazioni o popoli, se non quella della pura essenza della cultura russa, della sua bellezza, della sua romanticità e delicatezza. Non quella del cliché o dello stereotipo, ma quella che si è insinuata dentro di noi con tutta la passione e l’amore di mio nonno, mia madre e mia zia. Tutto questo portato è stato brutalmente colpito a sangue dalla guerra scatenata da Putin.
Ogni immagine che arriva dell’aggressione russa all’Ucraina, dei civili uccisi, di case, di ospedali, teatri distrutti è un colpo inferto anche a tutta la nostra vita e al nostro immaginario russo. Penso al massacro del popolo ucraino fatto dall’esercito russo. Qualcosa che né io né le mie amiche russe, avremmo mai creduto davvero possibile. Amiche che oggi sono soffocate e mi pregano di capirle nel loro stordimento, nel loro dolore e nel terrore. Vivono nella paura che si aggiunge a quella con cui avevano imparato a fare i conti negli ultimi anni. Avevano resistito e lavorato, nonostante la repressione si facesse sempre più stringente da parte del regime e pure per l’isolamento dall’estero. Penso anche a quei ragazzi di leva mandati a morire a tradimento dal loro stesso mandante. A quelli che si sono rifiutati di sparare ai cittadini ucraini che si sono trovati di fronte a mani nude. Ragazzi che nella migliore delle ipotesi hanno potuto abbandonare i carri, arrendersi e sono stati fatti prigionieri. Nella peggiore tornando sui loro passi sono stati mitragliati dal fuoco “amico”. Un fratricidio comandato da chi resta a Mosca e da lontano ordina di non avere pietà. Chi sta procurando tutto questo orrore non può essere giustificato in alcun modo. Dalla Piazza Rossa si sta uccidendo anche la mia stessa anima.
Non potevo mancare alle manifestazioni contro la guerra: per chiedere il cessate il fuoco, la fine di un’aggressione disumana e orribile scatenata dalla Russia. Sono impegnata da decenni nel movimento pacifista, quello che non è stato solo nelle piazze ma nelle tante iniziative di solidarietà e cooperazione per costruire ponti fra i popoli in conflitto e sostenere le popolazioni, le società civili, sostenendo le donne per il loro empowerment, facendo resistere e vivere spazi di cultura, di dialogo, di sport. Di questa nostra nobile storia, di concreta azione nonviolenta, noi pacifisti possiamo andare fieri; così come del lavoro avviato fin dai primi giorni della guerra in Ucraina per portare aiuti e promuovere e organizzare l’accoglienza dei profughi in Italia. Ma sento drammaticamente che oggi non basta.
Si devono dire parole più chiare, che non lascino spazio ad alcuna ambiguità che invece vedo tuttora presenti, sulla condanna di questa guerra e sul fatto che si tratta di un’aggressione inaudita e inaccettabile perpetrata dalla Russia di Putin a uno stato sovrano, a un governo democraticamente eletto dal suo popolo. I precedenti, le aggressioni perpetrate nei confronti di russofoni nel paese, la presenza di gruppi filonazisti, non sono e non possono essere in alcun modo una giustificazione per bombardare un paese, uccidere la sua popolazione inerme, distruggere le sue infrastrutture, perfino ospedali e colpire i canali di le persone in fuga. Si deve dire con chiarezza e senza esitazioni: con questa guerra Putin ha trascinato la Russia dalla parte del torto senza se e senza ma. È responsabile della morte di migliaia di persone innocenti e dell’odio che travolge legami tra persone, tra fratelli e sorelle e lascerà il segno nei decenni a venire.
E proprio per questo, abbiamo bisogno di dimostrare inequivocabilmente il sostegno a chi in Russia si sta ancora opponendo alla guerra, contro queste bombe fratricide, sfidando una legge che prevede fino a 15 anni di carcere per chi osa fare una contronarrazione attraverso testimonianze dirette dal fronte di guerra. Una nuova fase di buio profondo sta travolgendo la Russia e chi in quel paese si oppone, e non da oggi, al regime di Putin. Giornalisti, femministe, pacifisti, attivisti di associazioni antirazziste e per i diritti umani e civili hanno un bisogno disperato del sostegno della nostra parte di società civile. Un sostegno che non può essere espresso con equilibrismi e assurde equidistanze: sulle macerie di questa guerra non è consentito sbagliare.
E infine, l’altro fronte della lucidità e dell’onestà intellettuale su cui sarà determinante investire da parte di chi afferma di credere in un mondo più giusto sarà il dilagare della russofobia. Confondere Putin, il suo regime, il popolo russo e ciò che la cultura russa ha regalato al mondo è fatale e terribile. Una discriminazione che può solo seminare altro odio. La società civile, le realtà impegnate nella difesa dei diritti umani e civili non possono accettare questa deriva: la terra, la cultura del padre della nonviolenza Tolstoj e del grande musicista Tchaikovsky non può essere cancellata. Non avrei mai creduto di sentire sulla pelle l’ostilità provata da bambina perché per metà russa. Mi ero liberata di quel senso di ostilità e sospetto in Italia. Anche questa è una responsabilità che non perdonerò mai a Putin e di cui pagheranno le conseguenze generazioni di russi. Salvare la cultura dal buio di questa guerra e delle sue macerie è un impegno che non può essere tralasciato. Pena il buio dell’umanità intera.
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